E adesso chi la ferma più? Andate al cinema, andate a vederla Paola Cortellesi, l’attrice più poliedrica del panorama italiano, una che nasce imitatrice, poi diventa comica ma sa trasformarsi facilmente in attrice drammatica. Il film è appena uscito, si chiama Gli ultimi saranno ultimi, regia di Massimiliano Bruno, e l’attrice romana ne parla unendo la gioia personale della prova di altissimo livello all’osservazione dolorosa di quanto sia attuale il tema trattato.
«Questo film è la trasposizione da un mio precedente lavoro teatrale, di dieci anni fa». È la storia di una donna che perde il lavoro perché in attesa, finalmente, di un figlio. «E se dopo un decennio il tema è attuale, vuol dire che le cose non vanno per niente bene», osserva. «Più di dieci anni fa vidi a teatro uno spettacolo, s’intitolava Zero. Sul palco, un unico attore che recitava in più ruoli. Era Massimiliano Bruno. Gli dissi che sarebbe piaciuto anche a me interpretare più personaggi. Fu così che costruimmo assieme Gli ultimi saranno ultimi. Si cominciava a parlare di primi gesti folli di chi perdeva il lavoro, dipendenti e imprenditori che sentivano di aver perso, per questo, anche la dignità. E che arrivavano a gesti violenti, dal disfacimento delle famiglie al suicidio. Pensavo: non sono criminali, è gente comune che perde la testa. Così, nacque la storia di una donna che resta incinta, e per questo è licenziata, vive con un marito non propriamente “forte” e alla fine ruba una pistola a un agente privato della ditta dove lavorava minacciando una strage». Alt, non sveliamo il finale.
Alessandro Gassman è il marito immaturo e superficiale, e Fabrizio Bentivoglio un agente di Polizia che vive una vicenda personale e professionale tormentata, quasi come quella di Paola Cortellesi, che nel film è Luciana. «Ci siamo posti una domanda: qual è il limite di ognuno di noi? Perché perdiamo di vista i confini della convivenza sociale e impazziamo? Non è fantasia. Le donne che perdono il lavoro perché incinte sono una realtà. C’è voluta l’attenzione di papa Francesco per riproporre questo tema».
Una storia dura che però presenta anche alcuni lati divertenti…
«C’era il rischio di dividere in modo manicheo i personaggi: i buoni da una parte e gli altri tutti cattivi. Eppure, in storie come questa non esistono buoni e cattivi, ma solo tanti… ultimi, ognuno con la propria piccola, personale vicenda».
Il pubblico la vede soprattutto come attrice comica. Perché buttarsi a rischio in una trama drammatica?
«Non ho solo recitato come comica. E non dimentichiamoci che il mondo ci stima per la commedia all’italiana, grazie a film e autori che hanno saputo raccontare storie anche comiche, certo, ma con un’amarezza di fondo tale da riportarci sempre alla realtà. O, al contrario, storie dure con una leggerezza che faceva vedere anche il lato comico della vita. L’umorismo è un privilegio che si deve sapere usare e a me piace far sorridere, anche dentro un racconto drammatico. La leggerezza è un veicolo utile per traghettare certi argomenti da pochi a tutti».
C’è difficoltà, come attrice, a convincere i registi e i produttori, rispetto a un attore?
«Valorizzare un personaggio femminile capace di stare sia nel comico sia nel drammatico è difficile per i produttori, per fortuna non tutti».
E lei non vuole restare chiusa in un solo genere. È così?
«Penso che l’attore sia una persona che ha voglia di cambiare registro sempre, perché tanti personaggi differenti danno una gamma più ampia. Io vorrei continuare su questa strada».
Ha una figlia di quasi tre anni. Come concilia i due ruoli, attrice e madre?
«Sono una privilegiata, come donna e come mamma. Gestisco ancora bene la grande quantità di lavoro che ho con la mia vita privata e per me è una gioia. E poi, vengo dalla periferia di Roma: sono abituata da sempre a tenere i piedi ben piantati a terra».
A proposito di Roma, tempi durissimi, eh?
«Lasciamo stare, preferisco evitare discorsi da bar. So solo che è una sofferenza: per noi Roma è una mamma». Eh già, Mamma Roma...