Il Nobel della fisica Giorgio Parisi.
Da appassionato di cucina, seguo con grande interesse il dibattito su cui si accapiglia mezza Italia sulla cottura a freddo della pasta innescato dal premio Nobel della fisica Giorgio Parisi. Per chi non lo abbia seguito, ovvero per l'altra metà d'Italia, provo a sintetizzare. Per risparmiare sul gas, oltre al “price cap” dell’Unione europea, tutti noi possiamo fare la nostra parte. Una di queste è spegnere i fornelli due minuti dopo aver buttato la pasta. Il riscaldamento degli spaghetti o dei maccheroni avverrà egualmente, poiché la trasmissione di calore dell’acqua portata ad ebollizione sarà sufficiente ad assicurare una bella cottura al dente. Proprio così, mi son detto, per cuocere la pasta "comme il faut" e risparmiare sul gas ci vuole il fisico.
Domenica sera, dopo aver ottenuto la scettica accondiscendenza dei familiari, ho proceduto all’esperimento con lo stesso fervore con cui Guglielmo Marconi tentò il primo segnale radio per via elettromagnetica dalla soffitta di Villa Griffone di Pontecchio. Dopo aver portato ad ebollizione l’acqua, ho tuffato gli spaghetti nella pentola, ho atteso che tornasse il bollore, ho cronometrato col mio Tissot due minuti e ho spento fiducioso i fornelli attendendo la fine dei canonici 12 minuti indicati nella confezione (indicazione trovata dopo aver rigirato in lungo e in largo la confezione per un quarto d’ora poiché i produttori, come è noto, i minuti di cottura la mettono sempre negli anfratti più impensati, manco fossero le controindicazioni di un farmaco).
Quando ho scolato la pasta lo spaghetto era piuttosto stopposo, poco elastico, e soprattutto tiepido come una pastina in brodo lasciata in cucina per troppo tempo. Forse avevo sbagliato a cronometrare. E così ho ripetuto l’esperimento, portando lo spegnimento a cinque minuti. Il secondo tentativo ha prodotto uno spaghetto un po’ meno stopposo ma egualmente tiepido. Al terzo tentativo (otto minuti dopo) la pasta sembrava ancora più stopposa del primo tentativo e la temperatura egualmente tiepida, niente da fare. Al quarto tentativo (dieci minuti) la pasta diciamo che si faceva mangiare ma a ben vedere non si capiva quanto avrei risparmiato facendo a meno di due minuti di metano. A quel punto mia moglie ha detto che l’esperimento poteva bastare, che avrebbe ordinato le pizze e soprattutto che la cucina, ridotta a un laboratorio dopo una fusione a freddo venuta male, dovevo pulirla io.
Scoraggiato ho consultato i soliti social e ho scoperto con sollievo di non essere solo.
Anche il grande chef Antonello Colonna, uno che nel 2009 aveva preparato una cena per i reali di Svezia, aveva fatto notare che a fuoco spento la pasta assume una “texture” gommosa. Meglio, allora, «partire dalla cottura a freddo», propone lo chef. Ecco come. «Si prende una pentola, per ogni etto di pasta si mette un litro d'acqua, poi si mette sul fuoco. Man mano che l'acqua si scalda, con un mestolo si toglie». Finché con la poca acqua rimasta i rigatoni o qualsiasi altro taglio siano pronti. A ben vedere il procedimento opposto alla risottatura. Invece di aggiungere mestolate di brodo, si levano mestolate d'acqua. "Che ci vuole?", mi son detto. Nottetempo, dopo aver chiuso tutte le porte per non svegliare nessuno ed essermi barricato in cucina, ho provato il metodo suggerito dallo chef Colonna. Ho svuotato la pentola dell'acqua mestolo dopo mestolo. Alla fine del procedimento gli spaghetti sono rimasti sul fondo, ma incollati come carta moschicida. Erano lì che mi guardavano, bianchi e smunti, pietrificati, immangiabili. Non li avrebbe ingeriti nemmeno il Conte di Montecristo dopo una settimana di digiuno forzato nella fortezza d'If. Avrebbe preferito evadere a stomaco vuoto.
A quel punto ho preso una pentola, ho portato in ebollizione abbondante acqua salata, ho tuffato gli spaghetti quadrati trafilati a bronzo, li ho scolati alla vecchia moda, come faceva mia madre, mia nonna e la mia bisnonna, li ho conditi con olio d’oliva e abbondante parmigiano facendoli anche saltare in padella e li ho degustati solitario nel silenzio notturno della cucina, mentre dall’ipad mi fissavano accigliati i ritratti di Parisi e Colonna, considerando che tra un esperimento e l’altro avevo consumato un botto di gas da far volare una mongolfiera.