Mai come quest’anno c’è interesse intorno all’Eurovision Song Contest, di cui Rai 1 trasmette oggi e domani le semifinali e sabato la finale. Al fatto che si svolge in Italia e più precisamente a Torino, dopo la vittoria dei Maneskin dell’anno scorso, si aggiunge il fatto che la gara, nata nel 1956 per cementare l’unione dei popoli europei dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, dopo il conflitto nei Balcani degli anni ’90 torna purtroppo a svolgersi mentre in una parte dell’Europa, l’Ucraina, ogni giorno cadono bombe.
Da questo punto di vista, la manifestazione che per tanti anni è stata vista solo come una baracconata è in realtà sempre stata un ottimo termometro per misurare le tensioni tra gli europei, come racconta il libro Capire l'Eurovision di Giacomo Natali. Benché infatti il regolamento proibisca di inserire messaggi politici nei testi delle canzoni, il divieto è stato più volte aggirato. E molto spesso il “nemico” contro cui indirizzare gli strali musicali è stata proprio la Russia di Putin. Ma già nel 1976, durante la crisi greco-turca, Mariza Koch cantò delle bombe turche che avevano devastato Cipro. Nel 2000, invece, il gruppo israeliano Ping Pong presenta una canzone che prevede nel finale lo sventolìo affiancato delle bandiere di Israele e della Siria, che non riconosce lo stato israeliano, rimediando il boicottaggio della Tv nazionale.
E arriviamo all’Ucraina. Nel 2005 i Greenjolly si presentano con un brano che è l’inno non ufficiale della “Rivoluzione arancione” contro i brogli delle presidenziali dell'anno prima vinte dal filorusso Yanukovich. Due anni dopo Verka Serduchka riscuote grande successo con una canzone dal titolo senza senso “Lasha Tumbai”, parole che però sul palco risuonano come “Russia Goodbye”.
Inutili le proteste Mosca che dopo altri due anni, nel 2009, ospita lei l’Eurovision, nel pieno della guerra che oppone la Russia alla Georgia per il controllo dell’Ossezia del Sud. La cantante georgiana Stephane si presenta in gara con una canzone che fin dal titolo è un’evidente provocazione: “We don’t wanna put in”. Sul palco sarebbe risuonata come “Noi non vogliamo Putin”. Ma l’organizzazione chiede di cambiare titolo, la Georgia non ci sta e si ritira.
Nel 2016, infine l’Ucraina coglie il suo primo trionfo con Jamala che presenta un brano che mette in relazione la deportazione dei tatari dalla Crimea al tempo di Stalin e l’occupazione della penisola sul Mar Nero da parte dei russi che ancora una volta si infuriano.
E quest’anno? Un giorno dopo l’invasione dell’Ucraina, l’organizzazione dell’Eurovision ha deciso l’esclusione della Russia. L’Ucraina invece è presente con i Kalush che presentano Stefania, una canzone ispirata in origine alla madre del cantante, ma che è già diventata uno degli inni della resistenza. Tutti prevedono che meccanismo di voto, secondo cui il pubblico non può votare per i musicisti del proprio Paese, farà sì che si formerà una coalizione spontanea per far vincere gli ucrain. In ogni caso, i Kalush presentano una bella canzone.