Tra il ricordo d'infanzia del bambino che abitava ad Agordo e la tragedia del ghiacciaio si stabilisce fulmineo il contatto. Mentre ci si addentrava nella valle, il nostro sguardo incontrava la bellissima parete sud della montagna. Sapevamo che sul versante nord si estendeva il ghiacciaio. Lo si vedeva passando per la strada che da Caprile porta a Colle Santa Lucia. Da Selva di Cadore e Santa Fosca brillava a ponente sotto il sole. Non v'era tramonto che non chiamasse lo sguardo da quella parte. Il rispetto per la montagna e l'ammirazione per la sua bellezza derivavano anche dal timore per la sua dimensione e la sua forza, di tanto eccedenti la nostra misura. Di qui venivano nomi leggendari, il Pelmo seggio degli dei, la Civetta parete delle pareti, la Marmolada regina, secondo un culto tramandato per generazioni.
Tutto questo ora è gravemente ferito e profondamente scosso: la montagna sta cambiando, insieme con tutto il paesaggio e il mondo naturale. I fiumi patiscono, il mare si alza, le alluvioni sono frequenti e disastrose. Solo chi non vuole non vede; chi non ha cura del futuro non ne tiene conto. Se ciascuno di noi riandasse all'infanzia forse ne avremmo grande vantaggio. Qual è il rapporto fra ciò che sta avvenendo e la nostra vita individuale e sociale? Siamo tutti partecipi di un sistema economico e sociale che non ha realmente accettato la limitatezza dei beni naturali: il mito acritico della crescita, il consumismo, lo spreco, l'incuria ne sono segni caratteristici. Le pratiche individuali (vedi le auto enormi tra prati e sentieri), certi abusi speculativi e le mille forme di inquinamento hanno alimentato e accettato politiche inerti, prive di veri disegni del futuro. Ecco come dai gesti personali si arriva agli atteggiamenti collettivi.
Così il ghiacciaio che si disfa e crolla è l'effetto di condizioni di vita, comuni a gran parte del mondo, che richiedono un immediato e radicale cambiamento. La disgrazia, della quale si cercherà di stabilire la prevedibilità con i limiti che avrebbe imposto al feticcio del turismo, segna una fenditura nella nostra coscienza. O dovrebbe. Credo veramente che i morti siano vittime anche del nostro modo di vita, quindi in qualche misura della nostra inadeguata responsabilità. Serviranno eventi di questa portata a fare cambiare direzione a un'umanità prigioniera di un mito distorto di crescita illimitata e ingiusta? Molte voci si levano da anni da tutti i continenti, ma le decisioni dei vertici politici ne tengono conto troppo pigramente e tra molte contraddizioni. Ripenso ai monti di allora, tanto mutati nell'arco della sola mia vita, e mi interrogo su come cambiare in tempo. Dovremo farlo tutti, sempre più intensamente, lealmente e coraggiosamente.