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martedì 22 aprile 2025
 
 

Così gli inglesi hanno liberato gli stadi dagli Hooligans

03/12/2014  A trent'anni dall'Heysel, non si sente più parlare di Hooligans: un mix di linea dura e di abbattimento delle barriere ha riportato la calma negli stadi inglesi.

Per anni sono stati l'incubo delle persone perbene allo stadio: una masnada di violenti riconosciuta e temuta in tutta Europa. Mancano pochi mesi al trentesimo anniversario della tragedia dell'Heysel, che ha visto la morte di trentanove tifosi italiani al seguito della Juventus, nell'allora Coppa dei campioni: schiacciati dentro il terrificante settore Z e delle loro performance criminali non si sente più parlare.

Quel giorno di maggio del 1985 è stato la goccia che ha fatto finire la pazienza al Governo britannico. Era l'epoca in cui al numero 10 di Downing street sedeva Margaret Thatcher. Fu lei a inaugurare la linea dura con il Football Act (1989) la legge che prevedeva biglietti nominali e "schedatura" di tutti gli ingressi allo stadio. Chi ha studiato il fenomeno sa però che quella misura da sola non sarebbe bastata, perché era macchinosa e complicava la vita più ai tifosi sani che ai malati che avrebbe dovuto drasticamente curare.

C'è voluto il 15 aprile 1989 con 96 morti massacrati per un crollo allo Sheffield perché si studiasse a fondo il problema e si corresse, anche drasticamente, ai ripari: è servito circa un anno alla Commissione presieduta del giudice Peter Taylor, per stendere il cosiddetto rapporto Taylor che individuava le criticità del sistema non solo nell'incapacità di isolare i violenti, ma anche nell'intrinseca pericolosità di stadi vecchi e mal condotti. Non va dimenticato infatti che ha all'Heysel come a Sheffield si morì schiacciati nella fuga per sottrarsi alla violenza o nell'assiepamento che portò al crollo di una tribuna.

Il rapporto individuò la necessità da parte dei club (gli stadi in Inghilterra appartengono alle società) di riammordernare gli stadi rendendoli, obbligatoriamente più piccoli, composti di soli posti a sedere, dotati di un complesso sistema di telecamere a circuito chiuso, e privi di barriere (perché troppi sono morti schiacciati contro le barriere meccaniche tra settori).

Il rapporto capovolgeva il rapporto di responsabilità tra Stato e club nella prevenzione della violenza, chiedeva di affidare il controllo interno alla stadio a personale stipendiato dalle società e collegato, tramite sofisticati sistemi di vigilanza, alla Polizia presente all'esterno degli stadi. Da lì in avanti sono stati vietati i rapporti tra società e tifosi, fatti salvi quelli atti a prevenire incidenti. Nuove leggi hanno consentito l'accesso di agenti infiltrati nelle tifoserie, e dato mandato a Scotland Yard di arrestare "in diretta" chi non rispetta le regole e i divieti di introdurre alcolici o petardi: soggetti destinati a essere processati per direttissima nel giro di un paio di giorni. Non solo, di lì in poi è stato possibile sequestrare il passaporto, cinque giorni prima di una partita internazionale a rischio, a tifosi inglesi sospettati di poter creare disordini all'estero. Ovviamente una volta terminata la squalifica che, dal 1985 al 1990, cacciò per cinque anni 15 squadre inglesi dalle competizioni interazionali.

La ristrutturazione degli stadi ovviamente costosa è stata in parte finanziata con l'aumento dei biglietti per lo stadio, fattore che ha in parte, più o meno direttamente, "selezionato" la tifoseria, aprendo le porte a sostenitori più facoltosi e meno inclini ai disordini, ma anche chiudendole a chi, senza intenzioni violente, non poteve più permetterseli. C'è chi osserva oggi, a distanza d'anni, che queste soluzioni, che hanno certamente restuito allo stadio il suo significato sportivo e agli appassionati un tifo sicuro, ma non hanno risolto del tutto il problema della violenza, che chiusa fuori dagli stadi, sopravvive nelle periferie.

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