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lunedì 04 novembre 2024
 
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«Così il Duce prese il potere con la violenza e la forza»

28/10/2022  A cent’anni dalla Marcia su Roma sono ancora molti gli interrogativi. Ne parliamo con lo storico Valerio De Cesaris. «Mussolini ottenne il governo con la violenza. Il Re non lo fermò e la Chiesa stette a guardare, ma alcuni cattolici come don Sturzo avevano già capito tutta la pericolosità di quel movimento»

«O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma», dichiarò pubblicamente Benito Mussolini il 24 ottobre 1922. Fu così che quattro giorni dopo migliaia di fascisti si misero in cammino verso la capitale, volendo emulare la prima marcia sull’Urbe, quella di Lucio Cornelio Silla, nell’82 avanti Cristo, contro il governo di Mario e Cinna. Mussolini aveva organizzato tutto da un pezzo, attingendo alle suggestioni della sua coltissima amante Margherita Sarfatti. Duemila anni dopo anche questa marcia ottenne il suo scopo. Re Vittorio Emanuele III conferì il mandato di presidente del Consiglio a Benito Mussolini. «Questa operazione eversiva si svolse in una grande confusione, considerando che le ferrovie vennero bloccate per scongiurare la calata delle camicie nere», spiega lo storico Valerio De Cesaris, studioso dei rapporti tra Chiesa e fascismo. «Però fu anche molto preparata e ben congegnata da Mussolini e i suoi».

Il Paese però non se l’aspettava.

«Sostanzialmente fu una cosa abbastanza improvvisa. Anche se gli italiani sapevano che il fascismo era antidemocratico, aveva un suo germe di violenza molto marcata fin dall’inizio che utilizzava a fini politici e che prima o poi una qualche azione di forza era prevedibile. Nel dibattito all’interno del cattolicesimo italiano ci sono alcune personalità come Luigi Sturzo e Francesco Ferrari che sottolineano il carattere eversivo del fascismo poiché utilizza la violenza come strumento politico».

Perché la presa del potere fascista non venne evitata?

«Fu risolutivo l’atteggiamento di Vittorio Emanuele III. Come è noto, il presidente del Consiglio di allora Facta chiese al re di proclamare lo stato d’assedio. Ma il sovrano rifiutò – come disse più volte – per scongiurare una guerra civile. Poi chiamò subito Mussolini a Roma e gli affidò l’incarico di premier. La storiografia più recente dipinge un monarca anche un po’ affascinato dal duce, uomo forte, giovane, determinato, capace di mobilitare gli italiani. Probabilmente il sovrano aveva anche la sensazione che le élite liberali avessero difficoltà nel governare il Paese. Pensò che un cambiamento fosse necessario».

Ma nel caso di uno stato d’assedio ci sarebbe stata davvero una guerra civile o addirittura un golpe all’interno di Casa Savoia?

 «Secondo gli studi più recenti, l’esercito regio avrebbe potuto prevalere sulle camicie nere e le avrebbe fermate se solo il re lo avesse ordinato. È vero, i fascisti erano circa 20 mila e i militari presenti a Roma solo 8 mila, ma si trattava di soldati professionisti, ben addestrati e armati di tutto punto, mentre i seguaci di Mussolini erano tutti dilettanti e male armati. Per non parlare del fatto che avrebbero potuto arrivare rinforzi nella capitale. Ma su questo aspetto ci sono ancora ricerche da realizzare».

Quale fu l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della marcia?

«Un atteggiamento di attendismo. Nel ’19 la Santa Sede aveva inizialmente stigmatizzato il fascismo per la sua violenza, che non risparmiava l’Azione cattolica, i fedeli e i sacerdoti. Anche i commenti sulla stampa cattolica erano di condanna. Ma già nel ’21, quando Mussolini cambia atteggiamento e inizia la sua svolta filocattolica che avrebbe portato ai Patti Lateranensi, la Chiesa smette di criticare il fascismo e aspetta le mosse del duce».

Chi tesse i rapporti tra i fascisti e il Vaticano?

«Il quadrumviro Cesare De Vecchi, che era un vecchio monarchico cattolico. L’unico cattolico importante del fascismo della prima ora, quindi molto diverso dai fascisti rivoluzionari, anche se non aveva mai fatto parte dell’Azione cattolica. De Vecchi diviene ambasciatore italiano presso la Santa Sede».

Che succede nella Chiesa e tra i cattolici quando Vittorio Emanuele dà l’incarico a Mussolini, il 30 di ottobre?

«A quel punto l’atteggiamento prevalente in Vaticano e tra molti cattolici è quello di aspettare e di capire cosa succede e comunque non criticare sui suoi organi di stampa Mussolini. Fermo restando che i cattolici democratici (come Sturzo, Francesco Luigi Ferrari, Igino Giordani, don Primo Mazzolari) sottolineano la pericolosità del fascismo. Per l’uso spregiudicato della violenza, ovviamente, ma non solo. Avevano capito che il fascismo si presenta come una fede alternativa a quella religiosa. È un movimento che agli occhi di alcuni attenti osservatori si capisce pericoloso anche per il cristianesimo».

(Immagine in alto: Marcia su Roma, Benito Mussolini con i gerarchi fascisti. Foto WIkimedia Commons)

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La difficile convivenza tra Chiesa cattolica e fascismo al potere (1924-1938)

 
 
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