Dicembre 2020, uno dei tanti ospedali nel nord Italia. Uno di quelli che, partendo da Codogno e scendendo giù per la via Emilia, hanno visto per primi il dilagare della pandemia. Siamo tra le seconda e la terza ondata Covid. Il reparto di terapia intensiva è pieno. Piero, 80 anni, presenta diverse patologie importanti: cardiopatia ischemica e diabete su tutte. Nella fase di escalation della sua sintomatologia viene escluso dalla possibilità di intensificazione del setting assistenziale. Tradotto: non può essere candidato alla terapia intensiva. I posti letto sono pochi e i medici sono costretti a dare la precedenza a pazienti più giovani. L’unica possibilità è mettere in pista una mini-terapia intensiva all’interno del reparto.
Piero rimane con un’insufficienza respiratoria molto grave, tanto da necessitare del supporto ventilatorio, della costante presenza dei rianimatori e dei prelievi arteriosi due, tre volte al giorno. Passano tre mesi: febbraio 2021. Le condizioni di Piero non migliorano e le possibilità di guarigione si affievoliscono. Sembra non farcela, tanto che i medici cominciano a parlare di cure palliative. Il suo stato di salute è molto compromesso. Necessita di un supporto di ossigeno che richiede il casco, la maschera, la bibap e le cannule ad alti flussi. Ormai non tollera più nulla perché si sono formate delle lesioni da decubito dovute alla presenza dei device: il casco sulle spalle, la maschera sul naso.
Piero rimane molto presente a sé stesso, cognitivamente integro. Ogni giorno si rivolge al dottore: “Allora ce la farò ad andare alla Olimpiadi?”. Si dice che l’ironia sia la cura di tutti i mali e lui, nonostante tutto, non la perde mai. Ironia insieme a un carattere di ferro. Lotta come un leone finché non viene dimesso dall’ospedale. Lo spostano in un centro specializzato. Dopo sei mesi di riabilitazione, manda una foto al personale medico dell’ospedale. Ha le valigie in mano, è pronto per tornare a casa. Il contesto della pandemia ha slatentizzato una problematica molto chiara in ambito geriatrico: la difficoltà di esprimere i propri bisogni da parte dei pazienti anziani e come questo nei servizi ospedalieri sia una relativa carenza, visto che ci si affida molto alla presenza dei familiari e del personale assistenziale informale. Non essendoci una cura specifica – il Covid è una malattia che si basa su un’infiammazione spropositata – le uniche cure efficaci ad oggi sono le cosiddette terapie di supporto. In una persona anziana questa procedura è estremamente complessa perché va fatta con il bilancino di un alchimista considerando giorno per giorno le necessità del momento. Quando l’anziano è cognitivamente integro, e quindi in grado di esprimere i propri bisogni, le possibilità di fare sistema aumentano. La forza di volontà, unita a una rete di “cure gentili, possono consentire a una persona con difficoltà motorie e con patologie di affrontare la situazione giorno dopo giorno. E a volte anche di vincere le Olimpiadi.