Papa Paolo VI (Ansa).
Se avesse dovuto immaginare visivamente la Chiesa, lui l’avrebbe pensata proprio così: con il volto nitido, fine, intenso di papa Paolo VI. Concentrato nei ricordi, il cardinale Ersilio Tonini si entusiasma e quasi si commuove nel riportare alla memoria la sua amicizia con papa Montini, scomparso il 6 agosto di trent’anni fa.
Incastonato fra due pontificati di straordinario carisma – quello precedente di Giovanni XXIII e il successivo di Giovanni Paolo II (dopo i trenta giorni di Giovanni Paolo I), Paolo VI, forse, non ha ispirato, suo malgrado, una spiccata simpatia umana. Dotato di grande intelligenza e finezza di spirito, non ha infiammato gli animi della gente. Forse, il suo pontificato ha parlato di più alle menti che ai cuori. Eppure, è stata proprio la figura di questo Papa a instillare l’amore per la Chiesa nel 94enne arcivescovo emerito di Ravenna. Come si legge nel libro Paolo VI. Il papa della luce di Cristina Siccardi (Paoline), la prima volta che Tonini incontrò Paolo VI fu all’età di 25 anni, a Roma.
Allora, Tonini era uno studente del seminario lombardo. E quell’incontro con colui che, di lì a pochi anni, sarebbe asceso al soglio pontificio, entrò nel cuore del giovane Tonini, segnando in modo indelebile la sua vocazione e il suo modo di vivere il sacerdozio e la missione pastorale.
«A quel tempo ero in profonda ricerca interiore e stavo cercando un modello di Chiesa al quale ispirarmi. Un giorno incontrai Montini, allora sostituto nella Segreteria di Stato. Quando lo vidi ebbi come un’illuminazione e pensai: "Ecco, è lui l’esempio che devo seguire". Di lui mi colpì soprattutto l’uomo del raccoglimento: la sua serenità era evidente; così come risaltavano subito agli occhi la ricchezza e la profondità della sua interiorità». Monsignor Ersilio Tonini incontrò di nuovo il Pontefice nell’estate del 1944, a Ponte di Legno: in quell’occasione gli chiese di essere ascoltato in confessione e gli aprì tutta la sua anima. Da allora, continuò a guardare a Montini come a un padre.
«Anni dopo, quando già era pontefice, papa Montini mi chiese di diventare vescovo di Ravenna. Io gli risposi: "Accetto senza condizioni"». Quella romagnola, allora, era una diocesi difficile, che aveva attraversato non poche turbolenze. Era il 1976. Tempo dopo, Paolo VI si recò nella città a visitare Tonini e, ancora prima di sedersi, gli disse che sentiva di doverlo ringraziare per aver accettato quella difficile missione senza condizioni. In segno di riconoscenza, gli regalò un prezioso calice forgiato da un artista moderno. «Si può immaginare con quanta cura ancora oggi conservi questo splendido regalo», confessa il cardinale. «Discutemmo della situazione di Ravenna, io gli diedi delle informazioni positive sulla diocesi e lui commentò: "La ringrazio di queste buone notizie; sa, qui arriva soprattutto la patologia della Chiesa". Io gli confessai il mio sogno di riaprire il seminario ormai chiuso da anni, richiamando i padri gesuiti. Paolo VI esaudì la mia richiesta: un mese dopo arrivarono tre gesuiti e il seminario fu riaperto l’anno seguente».
Ma il Santo Padre, confessa Tonini, aveva un tema particolarmente caro, al quale dedicò tutte le sue energie: l’informazione. «Il Pontefice era figlio di un giornalista (il padre, Giorgio, fu direttore de Il cittadino di Brescia dal 1881 al 1911, ndr) ed era convinto di quanto fosse importante la presenza di un unico giornale cattolico che fosse la voce di tutta la Chiesa italiana. Questa idea lo appassionava. Il giornalismo, per Paolo VI, era un elemento essenziale per l’unità del Paese. Questo dimostra la sua straordinaria lungimiranza, l’intelligente prontezza a recepire e affrontare i problemi del tempo, comprendendone a fondo le esigenze».
Continua l’arcivescovo emerito di Ravenna: «Papa Montini pensava che in quegli anni si stesse decidendo il futuro del mondo cattolico, e che quello fosse un momento storico eccezionale. La Chiesa italiana allora rappresentava un punto di riferimento per tutte le altre Chiese europee. Io a quel tempo scrivevo su Avvenire con uno pseudonimo, "Vescovo Guido"; Paolo VI mi nominò presidente del Consiglio di amministrazione del quotidiano e mi incoraggiò a continuare a scrivere».
E poi, l’attenzione verso il mondo giovanile e l’associazionismo cattolico: «Ancora prima di diventare pontefice, Montini non si accontentò di essere relegato al ruolo di semplice impiegato della Curia romana. Ebbe sempre degli slanci incredibili e si impegnò con enorme fervore nella Fuci (la Federazione degli universitari cattolici italiani), della quale fu assistente nazionale dal 1924 al 1933, diventando animatore e guida spirituale dei gruppi giovanili, con i quali organizzava incontri settimanali». Proprio alla Fuci Montini ebbe come suoi collaboratori due giovani destinati a fare carriera politica, Aldo Moro e Giulio Andreotti.
Il cardinale Tonini ricorda poi come, già durante il periodo del suo impegno nella Segreteria di Stato, Montini subì dei feroci attacchi e venne addirittura accusato da un foglio satirico romano di essere un massone. Attacchi ai quali seppe reagire con stoica e consapevole serenità, senza mai lasciare che la sua spiritualità venisse in qualche modo scalfita. Non un semplice diplomatico, ma un uomo di Chiesa impegnato, brillante, pertanto scomodo a molti: questo era Montini. «Paolo VI ebbe il grande onere e il merito di traghettare la Chiesa in un momento di tragico buio per l’Italia, il periodo del terrorismo, delle bombe, gli Anni di piombo. E riuscì a guidare il mondo cattolico in questo frangente particolarmente difficile con una correttezza e una forza d’animo incredibili».
L’ultimo incontro fra Montini e Tonini avvenne una settimana prima della morte del Papa. «Paolo VI era convinto che la Chiesa dovesse essere testimone con gli atteggiamenti e le opere prima che con i documenti», ricorda il cardinale. E conclude: «Di lui ancora oggi, dopo trent’anni dalla morte, conservo una profonda tenerezza nel cuore».