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mercoledì 30 aprile 2025
 
Schettino
 

Costa Concordia, il pm: «Dio abbia pietà di Schettino, noi no»

26/01/2015  La procura di Grosseto ha chiesto ventisei anni e tre mesi di condanna e l'arresto per pericolo di fuga per l’ex comandante, unico imputato per il naufragio al Giglio. Ma lui replica: «Io non scappo». Il procuratore: «Incauto idiota»

Una pena esemplare, ventisei anni e 3 mesi di reclusione, per riscattare il naufragio della Costa Concordia. L’hanno chiesta i pm di Grosseto per il comandante Francesco Schettino, unico imputato per il disastro al largo dell’Isola del Giglio che causò la morte di 32 persone nella notte del 13 gennaio 2012. Il pm Maria Navarro ha cumulato i 14 anni per i reati di omicidio e lesioni colposi (il reato più grave la morte della bambina Dayana Arlotti), di naufragio colposo (9 anni), abbandono di incapaci e della nave (3 anni). Richiesti anche tre mesi di arresto come custodia cautelare per pericolo di fuga. La richiesta, su cui la procura invita il tribunale a decidere, è relativa alle contravvenzioni di omesse e false dichiarazioni all'autorità marittima. Tra le pene accessorie, anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella dalla professione per 5 anni e 6 mesi.

La sentenza arriverà intorno al 10 febbraio. La requisitoria dei pm, però, è stata particolarmente dura: «Che Dio abbia pietà di Schettino perché noi non possiamo averne alcuna», ha detto concludendo la sua requisitoria il sostituto procuratore Stefano Pizza

«Quella di Schettino è stata una colpa cosciente. Si può dire che il comandante abbia cumulato in sé la figura dell'incauto ottimista e quella dell'abile idiota, producendo quella dell'incauto idiota», ha detto Pizza. Il sostituto esclude l'errore del timoniere «irrilevante» secondo l'analisi dei periti e si concentra sul comportamento dell'imputato sulla mancata emergenza e sull'abbandono della nave bollandole come «condotte criminose».

La colpa di Schettino è stata «smisurata», ha raccontato che «non sapeva dove stava andando».
«Il dovere di abbandonare per ultimo la nave - aveva continuato Pizza - da parte del comandante non è solo un obbligo dettato dall'antica arte marinaresca, ma è un dovere giuridico che ha la sua fondatezza nel ridurre al minimo i danni alle persone». Il pm ha ravvisato numerosi profili di colpa a carico di Schettino. Tra questi, non aver verificato che la rotta fosse sicura, non aver cercato informazioni sulla rotta né dai suoi ufficiali né dal radar, aver condotto la nave a 16 nodi tenendo la prua perpendicolare all'isola, aver dato ordini ad elevatissima frequenza al timoniere, «non aver seguito le buone regole dell'arte marinara per evitare il basso fondale», «mancato rilevamento del punto nave a intervalli regolari». E ancora, sempre tra le varie colpe, non aver disposto un «adeguato servizio di vedette», aver permesso che sul ponte di comando vi fossero «persone fonte di disturbo alla guardia».

Letta anche la testimonianza di Stefano Iannelli, ufficiale della Concordia che era nella lancia con Schettino, data il 15 gennaio 2012 agli investigatori:  «Non si è prodigato in mare, è rimasto sugli scogli a guardare la nave andare a picco».

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