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lunedì 14 ottobre 2024
 
 

«Nessuno escluso», il teologo e la genuina laicità

14/12/2013  Interviene il teologo Brunetto Salvarani: «La strada da imboccare, a mio parere, è quella di una laicità inclusiva. La quale, più che togliere o bloccare, invita a moltiplicare, ad aggiungere. A non aver paura del confronto»

 

Disarmanti, ma non sorprendenti (purtroppo). Sono i risultati di un sondaggio che la Chiesa valdese ha commissionato a Gfk-Eurisko, resi noti qualche giorno fa e utili, mi pare, a contestualizzare meglio anche il caso recente dell’istituto comprensivo di Tradate. Qualche dato. Se neppure un italiano su tre è capace di citare correttamente i quattro evangelisti (Matteo, Marco, Luca, Giovanni), meno di uno su quattro sa indicare le virtù teologali (fede, speranza, carità). Quando ci si addentra nelle pagine bibliche, non va meglio: domandare chi abbia mai dettato i dieci comandamenti a Mosè comporta, in otto casi su dieci, sentirsi rispondere un nome del tutto improbabile. Mi fermo qui, per carità di patria.

Un paese che non sa nulla della Bibbia, è improbabile – sosteneva il cardinale Carlo Maria Martini – che si apra all’altro, che faccia accoglienza. E’ proprio così. L’attuale analfabetismo religioso, che non ci permette neppure di cogliere appieno la funzione sociale del pluralismo religioso oggi in atto (anche) in Italia è figlio di una doppia chiusura: del risorgente anticlericalismo insofferente di ogni manifestazione pubblica delle comunità religiose e del neoclericalismo nostalgico di un regime ormai concluso, il regime di cristianità, e dimentico del messaggio conciliare più profondo.

Non stupisce, pertanto, quanto è accaduto a Tradate, una delle tante occasioni di conflitto sociale verificatesi negli ultimi anni su questioni solo all’apparenza religiose ma in realtà legate al tema spinoso della mancata valorizzazione delle diversità culturali e religiose nei contesti locali: dalla presenza del crocifisso nelle scuole e tribunali fino all’ostilità nei confronti dell’edificazione di moschee o templi hindu (per fare solo un paio di esempi).

La strada da imboccare, a mio parere, è quella di una laicità inclusiva. La quale, più che togliere o bloccare, invita a moltiplicare, ad aggiungere. A non aver paura del confronto. E’ insensato eliminare i canti natalizi, ad esempio, mentre sarebbe opportuno, in presenza di studenti ebrei, valorizzare la festa concomitante di Hanukkà, o, a fronte di alunni hindu, spiegare cos’è il Diwali, e così via.
 
Su questa linea, sarebbe bello che, accanto alla benedizione del presbitero cattolico, e mantenendo salva beninteso la libertà delle famiglie che lo vogliano di non far partecipare i propri figli ad alcuna funzione di alcun tipo, accostarvi – nel caso – quella dell’imam locale, se esiste una comunità islamica, o del pope, se c’è una chiesa ortodossa
. Ottenendone una lezione grande e fondamentale per il futuro di questo paese: esercitarsi sin dai banchi di scuola a vivere il pluralismo, culturale e religioso, come un’occasione di scambio e di affinamento del proprio cammino spirituale (se esiste), e non come una dannazione o, peggio, un problema esclusivamente di ordine sociale. Non sarà facile, finché non si investirà sul serio su un’autentica educazione interculturale. Ma a chi interessa farlo davvero?

 
 
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