Papa
Francesco torna a parlare del «cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco»
e della pace da perseguire
«anche nel Nagorno Karabakh», citando il suo stesso discorso
del 12 aprile del 2015. Nel discorso pronunciato nel corso dell'incontro
ecumenico a Yerevan Bergoglio parla di unità per la quale «non basta la buona
volontà di qualcuno nella Chiesa», ma che ha bisogno della «preghiera di
tutti». Parla di memoria e amore, perché «solo la carità è in grado di sanare
la memoria e di guarire le ferite del passato». Parla di pace. Parla di dolore. Parla del "Grande
Male". Arriva in piazza della Repubblica, al centro della capitale,
direttamente dall'aeroporto dopo aver visitato la città di Gyumri, la seconda
del Paese e quella dove sorge la chiesa della Santa Madonna anche nota come
chiesa delle Sette piaghe, chiesa che, durante gli anni dell'ateismo
sovietico, mentre in Armenia si distruggevano i luoghi di culto, «fu
un tetto e diventò luogo di preghiera per tutti i cristiani delle città e dei
villaggi sul confine con la Georgia abitati dagli armeni indipendentemente dalla loro appartenenza
etnica o religiosa, fossero essi armeni apostolici, cattolici o ortodossi»,
come aveva ricordato il chatolicos Karekin II. Un luogo dove si è vissuto
e si vive quell'ecumenismo del popolo che il Papa tanto incoraggia.
Insieme,
i cristiani di questa terra, si ritrovano per recitare insieme, anche se
ciascuno nella propria lingua, il Padre nostro. Si ritrovano per parlare e
pregare, per darsi segni di pace. Ma anche per affrontare insieme un passato
che è ferita da risanare per ripartire verso il futuro. Ai giovani il Papa
ricorda che devono essere «promotori attivi di una cultura dell'incontro e
della riconciliazione» non «notai dello status quo». E che vanno poste le basi
«di un futuro che non si
lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta: un
futuro dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace: un
lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua
alla corruzione che va estirpata».
Papa Francesco sottolinea che non riesce «a non pensare alle prove terribili che il vostro popolo ha sperimentato: un secolo è appena passato dal "Grande Male" che si è abbattuto sopra di voi. Questo "immane e folle sterminio", questo tragico mistero di iniquità che il vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia il cuore» e diventa monito «perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori».
Di
pace e riconciliazione parla anche Karekin II citando lo stesso papa Francesco
e ringraziandolo per il riconoscimento del genocidio del popolo armeno. Sulla
scorta del discorso dello scorso anno di papa Francesco «nuovi Paesi ed organizzazioni hanno
condannato una volta per tutte il Genocidio Armeno, inclusa la Germania,
che era alleata della Turchia durante la Prima Guerra Mondiale, e che nei
giorni scorsi ha riconosciuto il Genocidio commesso a danno degli armeni»,
sottolinea il chatolicos. Karekin
II si augura che «la Turchia ascolti il Suo messaggio e la supplica di molti
Paesi ed istituzioni internazionali e dimostri la capacità di cambiare il corso
della sua storia, ponendo fine all’embargo illegale
sull’Armenia e cessando di appoggiare le provocazioni miliari dell’Azerbaijan
volte a impedire al popolo di Nagorno-Karabakh
di vivere in libertà e in pace. La pace non può essere ottenuta
senza giustizia, le vite umane non possono diventare merce di scambio e non
possono essere ignorate».
E
conclude: «Solo la
giustizia radicata nella protezione dei diritti dei singoli e delle nazioni,
può costituire una solida base per prevenire i crimini contro l’umanità
e consentire un percorso verso una soluzione definitiva dei conflitti».