Il professor Francesco Vaia.
«Nessun catastrofismo, ma, come sempre, determinazione nell’affrontare anche questa fase». In un editoriale che Famiglia Cristiana pubblica nel numero dal 14 luglio in edicola e in parrocchia, il professor Francesco Vaia risponde alle inquietanti domande che l’impennata dei contagi provoca in questa torrida estate.
«Il cittadino si chiede se deve preoccuparsi, se è solo un’influenza, se dobbiamo fermare di nuovo la nostra vita sociale tornando in lockdown, cosa fare per l’autunno», scrive il direttore generale dell’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Le cifre spaventano, ma vanno lette e interpretate, puntualizza Vaia. «I dati osservati allo Spallanzani nell’ultimo semestre (1 gennaio – 30 giugno 2022) mostrano che in epoca omicron 1, i ricoveri, sia in ordinario che in terapia intensiva, erano rispettivamente il doppio e il triplo rispetto a oggi. Vuole dire che il virus, mutando, è diventato meno cattivo? Forse. Soprattutto, però, dobbiamo sottolineare il grande contributo dei vaccini, rivelatisi strumenti fondamentali, unitamente alle terapie, farmaci antivirali e anticorpi monoclonali sui quali bisognerebbe insistere di più».
«Di fronte alle tre paure che il cittadino oggi avverte - quelle della pandemia, della guerra e dell’impoverimento da inflazione e recessione -, dobbiamo rispondere con azioni di sistema», sostiene il direttore generale dello Spallanzani. «Innanzitutto con l’aggiornamento, non più rinviabile, dei vaccini alle varianti con dose di richiamo in autunno, mentre, intanto, proteggiamo i più deboli e fragili con la quarta dose. La scienza deve mettere in campo adeguate difese contro le diverse varianti del virus. In secondo luogo servono impianti di ventilazione meccanica (tre volte più efficaci, secondo l’Oms) nei luoghi della socialità, a partire da scuole e trasporti»
«Infine», conclude Vaia, «dobbiamo guardare oltre il nostro cortile. Abbiamo perso, finora, alcune sfide come la cessione a tempo determinato del brevetto e la protezione vaccinale dei Paesi più poveri. Dobbiamo riprovarci rivalutando il ruolo della Oms e, dentro essa, dell’Italia».