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mercoledì 22 gennaio 2025
 
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Craig Schulz: "Quando mio figlio mi chiese, papà perché Snoopy dà la caccia al Barone rosso..."

02/03/2016  Craig Schulz, figlio di Charles, è co-autore della scenaggiatura di Snoopy & friends, che esce il 3 marzo in dvd: "Non ho avuto paura di tradire i Peanuts, ma che fatica animare la testa rotonda di Charlie Brown".

Craig Schulz è il bambino del bambino con la testa rotonda. Detto così sembra complicato, ma basta sapere che Craig è il figlio di Charles Schulz, che per tutta la vita disegnò Charlie Brown, pensando a sé stesso bambino, perché il mosaico si ricomponga.

Craig Schulz ovviamente non è più bambino da un pezzo, ha 65 anni, e di mestiere fa lo sceneggiatore (e il custode dei Peanuts come tutta la famiglia). La sua ultima fatica sintetizza i suoi due lavori, è infatti produttore e coautore, in collaborazione con Cornelius Uliano, Paul Feig, Michael Travers e con il proprio figlio Bryan, nipote di Charles, della sceneggiatura di Snoopy & friends, in dvd dal 3 marzo distribuito da Twentieth Century Fox Home Entertainment. Ce n’è abbastanza per riconoscere che si tratta di un film familiare, un po’ perché prende dentro tre generazioni di Schulz, un po’ perché, riconosce lo stesso Craig parla a quattro generazioni di persone.

Craig, che cosa vi ha convinti ad accettare di lavorare a un film in computer grafica dedicato ai Peanuts? 
«Abbiamo preso atto che il mondo cambia. I bambini del 2016 non leggono i giornali – Schulz pubblicava le sue strisce sui quotidiani -  conoscono storie e personaggi attraverso tablet e computer, ma lì dentro i Peanuts non ci sono. Ci siamo detti che l’unico modo per far conoscere il lavoro di nostro padre alle nuove generazioni sarebbe stato veicolarlo attraverso un film, ma non nascondo che il mio sogno sia che il film serva solo a far scattare la curiosità di scoprire di più e che il passaggio successivo sia di riportare anche le prossime generazione a leggere le strisce».

Ha un momento preferito nella storia dei Peanuts, preferenza per qualcuno o per qualcosa?
 «No, sono affezionato a tutti. Per me era un po’ come avere per vicini di casa questo fantastico gruppo di bambini, come averli per compagni di scuola mentre vedendo mio padre che ogni giorno li disegnava».

Come si concilia il film con l’addio di vostro padre, che nella lettera di congedo dai lettori scrisse: «La mia famiglia non desidera che altri continuino a disegnare i Peanuts»?
«Quando negli anni Settanta abbiamo pensato al futuro dei Peanuts, abbiamo deciso che nessuno avrebbe potuto disegnarli dopo a parte mio padre: erano la sua attività quotidiana, aveva sempre creato da solo storie e disegni, ma la nostra decisione non era così radicale da impedire che sulla base dei Peanuts che già c’erano, ed erano decenni di storie, non potessero nascere film o giocattoli. Anche perché, ripeto, il mio sogno è che chi arriva a loro per quella strada poi finisca per volere saperne di più e tornare all’originale, a leggere i libri, le strisce».

E’ stato complicato tradurre la frammentarietà delle strisce in una storia vera e propria in una trama più robusta? Non avete mai avuto paura di tradire lo spirito dei Peanuts?  
“E’ stato un lungo lavoro, ci siamo presi tutto il tempo: prima abbiamo concepito la storia, quando ne siamo stati convinti abbiamo cercato chi potesse animarla, non siamo arrivati in studio con le scadenze a tappe forzate a la storia tutta da inventare come in altre occasioni accade. Ci pensavo da tempo, mi era rimasta in testa una domanda di mio figlio bambino: “Perché Snoopy dà la caccia al Barone rosso?”. E’ questo che i bambini si chiedono:  la vera storia che nelle strisce non viene esplicitata. Ho pensato che il film avrebbe potuto rispondere a questo: come fa Charlie Brown a innamorarsi della ragazzina dai capelli rossi che viene evocata e non si vede mai? Nel film scopriamo che è la figlia dei suoi nuovi vicini e che Ciccio si strugge perché lei lo ignora – non sa che esiste - mentre lui non sa come attaccare bottone».

Mai temuto di snaturarli in 3d?
«Devo dire che io ho creduto da subito molto nella possibilità di animare i Peanuts e quando ci siamo messi a cercare le persone adatte a realizzare il progetto e abbiamo incontrato la Blue Sky e Steve Martino siamo stati davvero colpiti nel vedere quello che sanno creare. Io per parte mia mi fidavo della professionalità di Steve, ho visto le cose che ha fatto prima dei Peanuts, le ho ammirate, sapevo di poter contare su una squadra di grande spessore. Poi certo sapevamo anche tutti che era una bella sfida: la sfida più grande è stata la cosa in apparenza più semplice che mio padre ha disegnato: la testa rotonda di Charlie Brown. Si trattava di renderla da due dimensioni a tre, di farla girare credibilmente e di rendere ogni volta l’espressione giusta della bocca, del naso, degli occhi. E poi c’era Snoopy: tutto il mondo conosce Snoopy, se gli avessimo fatto un pelo fuori posto tutti ce l’avrebbero rimproverato. E poi si trattava di sintetizzare un personaggio che si evoluto molto tra gli anni Sessanta e Ottanta. Perciò siamo partiti da loro, poi gli altri bambini sono venuti sul calco di Charlie».  

Qual è stata la sfida più grande?
«Credo trovare le voci, non abbiamo voluto bambini attori, ma bambini: li abbiamo selezionati facendoli parlare non recitare. Abbiamo cercato voci che somigliassero il più possibile a quelle dei Chistmas special, i film animati di Natale, fatti con l’animazione tradizionale, perché quelle erano le voci familiari agli spettatori. E poi la colonna sonora, non è stato facile sceglierla, ma sono soddisfatto».  

Qual è stata la sua emozione al vedere per la prima volta il film intero finito?
«Credo di averlo visto migliaia di volte a pezzi seguendo la lavorazione passo passo, direi che l’emozione più grande è stata la prima proiezione in sala con i bambini presenti: i grandi, i collaboratori conoscono tutta la storia dei Peanuts, ti danno consigli suggerimenti, ma poi la prova del nove è quella: sentire ridere i bambini che li vedono per la prima volta».  

Qualcuno ha scritto che per Pig-Pen suo padre si è ispirato a lei, è vero?
«Non so se sia proprio vero, nel senso che mio padre ha cominciato a disegnare le strisce che io ero molto piccolo e non ho ricordi precisi di quel periodo, però è vero che da bambino tornavo dai miei giochi sempre pieno di polvere e sempre sporco e non è andata meglio quando ho cominciato a trafficare dietro ai motori e alle motociclette. Diciamo che mi piace pensare di essere io Pig-Pen, mi è molto simpatico Pig-Pen».  

Che padre era Charles Schulz? I genitori delle sue strisce ci sono ma solo fuori campo era un padre fuori campo?
«Credo che abbia imparato molto dai suoi genitori, quando da giovane infatti ha espresso il desiderio di diventare un disegnatore di fumetti non gli anno detto sei matto, l’hanno sostenuto e lui ha fatto lo stesso con noi, rispettava i desideri di noi bambini e cercava di sostenerci alla giusta distanza, non ci stava tutto il giorno addosso dicendo dovresti far questo dovresti far quello, non far questo non far quello. Mio fratello giocava a hockey, mia sorella pattinava sul ghiaccio, papà tifava per loro senza pressarli».                  

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