L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità, ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita». A scriverlo è papa Francesco nel messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni. Raccontarsi è dunque un atto esclusivo dell’uomo e, in quanto tale, spirituale. Un mestiere che Daniele Mencarelli conosce bene. Romano, 47 anni, sposato e padre di due ragazzi, Mencarelli è approdato alla narrativa dopo un lungo apprendistato della parola poetica (Bambino Gesù e Figlio, Nottetempo). Nei suoi romanzi (La casa degli sguardi, Tutto chiede salvezza, e il prossimo Sempre tornare, Mondadori) racconta con rara densità la propria sofferta rinascita. Ma, da vero narratore, non pone troppa fiducia nell’autobiografismo: «Non è scrittore chi ha una storia, ma chi la sa scrivere».
La prossima settimana i lettori di Credere avranno tra le mani un tuo racconto inedito. Di cosa parla?
«È una storia che ho ascoltata, la storia di un rapporto di fiducia tra tre generazioni – nonno, padre e nipote – che ha al centro un coltello rinvenuto nella Seconda guerra mondiale. È la storia della mancanza di fede di un figlio davanti alla malattia di suo padre, e della rinnovata fede che gli viene accordata invece dal nipotino. Mi ha affascinato la fiducia di un piccolo nel racconto: perché non credere?»
È in qualche misura la fede che ogni lettore deve concedere allo scrittore...
«In effetti questo è un racconto sul racconto, quasi una dichiarazione di poetica. Io credo che ci sia sempre una Realtà più grande che chiama lo scrittore e che lo scrittore è chiamato a servire. L’atto di fiducia reciproco tra chi narra e chi ascolta ha alla base un comune atto di fiducia in qualcosa di più grande. Costruire oggi una letteratura che sia rivolta ai temi della spiritualità significa appunto cogliere la grandezza, essere disponibili a farsene testimoni».
Spesso si oppone la finzione alla verità, tu parli invece di “Realtà”...
«Aristotele invitava a raccontare il verosimile perché il vero assume forme talmente uniche da risultare incredibile. Che cos’è la realtà? Una scena bidimensionale o una scena tridimensionale, in cui c’è una dimensione di profondità che ci sfugge di continuo? Credo questa seconda ipotesi. Nella realtà compaiono spesso delle grandezze che noi pre-sentiamo. La realtà non è una “brutta fiction”, ma qualcosa che introduce già di per sé elementi di significato che rimandano a un’idea di racconto della nostra vita».
Oggi le serie televisive sono il primo scaffale di consumo delle storie. Tu hai lavorato per vent’anni alla Rai come editor. Che idea ti sei fatto?
«Mi sono convinto sempre più che spesso la grande narrazione televisiva si muove in assenza di realtà. E questo tende a svuotare la narrazione stessa di autentica spiritualità. Noi entriamo nel presentimento della grandezza che esiste nella nostra vita solo se viviamo dentro la realtà, non se assistiamo al “racconto di un racconto”. Il problema del prodotto creativo, oggi, è di essere totalmente derivativo. Certo, nessuno ha più inventato nulla dopo Omero, e tuttavia ogni epoca ha interpretato i grandi temi a proprio piacimento, perché si rinnovano e ognuno li rielabora al presente e vi coglie una particolare inclinazione. Quando si scrive o si pratica qualsiasi disciplina artistica il rischio è farlo in assenza di realtà, ma per quanto bravi non possiamo esserlo più della Realtà, che ci offre mille e mille spunti infinitamente più ricchi. La realtà ha ancora qualcosa da offrire? Io sono convinto di sì, perché la grandezza rinasce ogni giorno. In Italia questa grande tradizione è stata portata avanti da Dante a Pasolini».
Cosa significa allora raccontare la spiritualità? E come farlo?
«Oggi una grande sfida per chi vive il tema della spiritualità – anche in chiave non ancora istituzionalizzata o totalmente chiarita, come per me – è trovare una nuova modalità di racconto. Mi rendo conto di dire una cosa che può suonare forte, ma oggi, forse, parlare di Dio è il modo meno adatto per parlare di spiritualità. Mi spiego. Dio è sempre l’effetto di una ricerca, ricerca che oggi in molti hanno smarrito: occorre prima ridare i punti cardinali di questa ricerca umana. Poi l’indagine su Dio – e per alcuni, l’approdo alla fede – vengono da sé. Il narratore che ha a cuore la spiritualità deve riproporre il tema di quella grande scommessa che è la ricerca spirituale».
Nel racconto che Credere pubblicherà la prossima settimana affronti in maniera delicata ma profonda i temi della morte, della dimenticanza e dei sogni. Come li vivi?
«Dobbiamo partire sempre dalla nostra piccolezza, da ciò che non sappiamo. Se mi dici “Credi in Dio?”, rispondo che non lo so. Ma se mi chiedi “Preghi i morti? Tutti i morti?”, rispondo di sì. Perché per me dimenticare qualcuno che c’è stato è imperdonabile. La dimenticanza è un orrore che ci deve sconvolgere. E il tema dell’onorare i morti è qualcosa che vivo in maniera sempre più viscerale. Un altro grande tema è quello del sogno. Oggi ho 47 anni e costantemente vivo nel sogno il dialogo con figure che sono apparse nella mia vita. Cosa vuole dirmi questo mondo onirico, e cosa incarna nella sua assoluta immaterialità? Sono temi talmente grandi che li maneggio con deferenza, come un uomo che ha una grande curiosità, ma non ha risposte».
Iniziativa per i lettori di Credere: un’estate con "I racconti dell’anima"
L’estate è generalmente un tempo di riposo per rinfrancare il corpo e l’anima. E proprio per “alimentare” la mente e lo spirito, dalla prossima settimana e per tutto il tempo delle vacanze Credere offre ai suoi lettori la serie I racconti dell’anima. Si tratta di sette storie inedite che altrettanti scrittori italiani, alcuni affermati, altri emergenti, hanno accettato di scrivere appositamente per noi. I racconti saranno proposti nelle otto pagine centrali della rivista, nella sezione solitamente occupata dallo Zoom.
Si parte con il racconto di Daniele Mencarelli dal titolo Storia di un coltello tedesco, che sarà pubblicata sul numero 29 di Credere, in edicola e in parrocchia da giovedì 15 luglio. Seguirà Sabbia, di Mariapia Veladiano e poi ancora Le tre Marie di Alessandro Zaccuri.
Ecco il calendario completo delle uscite de
I racconti dell’anima:
Daniele Mencarelli dal 15 luglio (n. 29);
Mariapia Veladiano dal 22 luglio (n. 30);
Alessandro Zaccuri dal 29 luglio (n. 31);
Irene Salvatori dal 5 agosto (n. 32);
Emanuele Fant dal 12 agosto (n. 33);
Melissa Magnani dal 19 agosto (n. 34)
Davide Brullo dal 26 agosto (n. 35).