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martedì 15 ottobre 2024
 
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Il lavoro ci può rendere felici?

18/11/2021  In diverse lingue la parola "lavoro" evoca il valore della sofferenza come il travaglio del parto. La riflessione del teologo Gaetano Piccolo

A volte, per prepararmi a qualche incontro che devo tenere, mi piace confrontarmi, sui temi di cui parlerò, con alcuni amici. Mi era stato chiesto di affrontare il tema del lavoro per i dipendenti di una struttura che si occupa di assistenza ai disabili. Ho pensato perciò di fare visita al mio amico Paolino. L’ho trovato mentre sistemava le cassette piene di olive appena raccolte: «Che lavoro!». Ho esclamato. E Paolino, come sempre saggio, mi ha risposto: «Se queste olive potessero parlare…!». Questa frase mi ha fatto pensare a quante volte non ci rendiamo conto della fatica che c’è dietro la giornata di tante persone. Forse non a caso, in diverse lingue la parola lavoro ha a che fare con questa dimensione di sofferenza, come il travaglio del parto. Ma anche il greco antico ha tanto da insegnarci, visto che distingue tra ponos ed ergon: il primo termine indica semplicemente l’energia che ci mettiamo nel fare qualcosa, mentre il secondo si riferisce a un’opera finita, compiuta. A volte, infatti, siamo delusi perché non riusciamo a capire bene dove stanno andando le nostre energie, quale sia l’opera finita del nostro lavoro. Le persone spesso mi parlano della loro delusione in ambito lavorativo, perché non stanno svolgendo la professione che avrebbero voluto. In effetti, se possiamo svolgere il lavoro dei nostri sogni, forse addirittura quello che sognavamo da bambini, può darsi che questo ci renda più soddisfatti, ma è anche vero che non è necessariamente il lavoro lo strumento per sentirci realizzati nella vita. A volte il lavoro può essere semplicemente il mezzo, grazie al quale possiamo dedicarci alle cose che ci appassionano, nel senso che ci dà una base economica su cui appoggiare la nostra vita e poter fare anche altro. Come mi faceva notare Paolino, parlando di coloro che lo stavano aiutando a raccogliere le olive e che si lamentavano della quantità eccezionale della raccolta, c’è una dimensione di provvidenza anche nel lavoro: quelle olive avrebbero potuto non esserci e certamente non sono solo il risultato della bravura del contadino. Se le olive potessero parlare, forse ci racconterebbero da dove vengono! Mi sono detto che da oggi guarderò al mio lavoro con un po’ più di gratitudine.

Inviate le vostre domande a lettori.credere@stpauls.it

 
 
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