«Il senso di colpa non ci lascia vivere. Eppure Dio non ci giudica, siamo noi i più ostinati giudici di noi stessi». Fra Roberto Pasolini, 50 anni quest’anno, ha lo sguardo limpido. Lo incontriamo nel convento dei Cappuccini di piazzale Velasquez a Milano. Prima di iniziare la chiacchierata, indica una grande magnolia al centro del chiostro, capace di rasserenare tutti con la sua presenza, anche durante il tempo della pandemia. «Togliendo Dio dal nostro mondo avevamo pensato di alleggerirci la vita. Invece tutti quanti, anche chi si professa non credente, continuiamo a vivere con dolore, fallimenti e sbagli. Non ci perdoniamo alcune scelte, subiamo il senso di inadeguatezza negli affetti, sul lavoro, nel rapporto con il corpo, rispetto alle aspettative degli altri. C’è tanta frustrazione in giro e non accettiamo l’errore, per questo siamo una società giustizialista». Sul come sia stato possibile arrivare a questa situazione, fra Roberto un’idea se l’è fatta e la presenta nel libro Non siamo stati noi. Fuori dal senso di colpa, di recente pubblicato da San Paolo: «Noi cattolici ci siamo arroccati sui sacramenti e sui dogmi tralasciando la Parola, così la conoscenza del Dio padre misericordioso si è offuscata».
L'ESPERIENZA E LA FEDE
Tutto quello che ha imparato sulla fede, fra Pasolini dice di averlo capito con l’esperienza. «Dai 15 ai 21 anni mi sono allontanato dalla Chiesa, in parrocchia non trovavo un ambiente stimolante e ho tentato di vivere adolescenza e prima giovinezza “in modalità fai da te”. Ma a Milano negli anni Ottanta era facile sperimentare ciò che il mondo ritiene importante per sentirsi liberi, emancipati. Così ho vissuto tutto in libertà, nello stile “sesso, droga e rock and roll”, dal far tardi la sera al bere un po’ troppo. Sono stato anche fra gli ultras del Milan. Ho vissuto con libertà perfino l’amore, non mi ponevo il problema di seguire la morale della Chiesa ma cercavo di esprimere il sentimento così come mi veniva». Fra Roberto riprende fiato: «Con il tempo ho capito come l’esercizio di una libertà senza limiti all’inizio possa sembrare entusiasmante, ma poi lascia in mezzo alla strada». Nella vita del religioso la svolta coincide con la prima “grande prova” della vita: «Avevo poco più di vent’anni anni quando la fidanzata con cui sono stato tre anni ha cominciato a vivere un malessere interiore che mi ha interrogato molto. Ero sinceramente innamorato, ma non sapevo cosa fare per restituirle il sorriso. Mi sono fermato e mi sono reso conto che, correndo all’impazzata, non ero felice. Suonavo la chitarra, studiavo all’università e mi aspettava un futuro brillante da ingegnere informatico nel campo dell’Intelligenza artificiale, avevo tanti amici e lavoravo... ma, nonostante tutto, il mio cuore era mezzo vuoto». Prosegue il frate: «Sentivo che non riuscivo a raggiungere l’intimità profonda con me stesso, anche se cercavo di vivere tutto con la massima sincerità. Mi serviva un cielo a cui porre domande, a cui rivolgere il mio grido. Ho ricominciato a pregare: in camera avevo un crocifisso di san Damiano accanto al letto a cui una sera mi sono rivolto, pregando per lei: “Se ci sei, batti un colpo e aiutala”. Il crocifisso non ha detto niente ma ho percepito uno sguardo davanti a me. Piangevo, gridavo, e lì sulla croce ho visto un uomo vivo, perché l’icona di san Damiano è un Cristo risorto. Nella vita si può soffrire senza un perché ma mi sono sentito raggiunto dalla vicinanza di Dio. In quel momento ho ritrovato la fede».
L'INCONTRO CON FRANCESCO
Così, a 23 anni, il cambio di passo. «Ho ricominciato a leggere il Vangelo e sono tornato in parrocchia a Cologno Monzese. Facevo volontariato alla Cena dell’amicizia di Milano, casa di seconda accoglienza per senza fissa dimora: lì, nelle persone a cui facevo da mangiare senza saper cucinare, ho visto il Cristo povero». A poco a poco tutti i sensi di colpa per non essere riuscito a vivere a fondo si sciolgono. «Al posto di stare a discutere con me su come era andata, Dio mi spalancava le porte di grandissimi tesori. Ricordo il pomeriggio in cui mi sono confessato dopo anni... Oggi mi scandalizza vedere tanto senso di colpa e senso del dovere fra le persone che frequentano la Chiesa. Manca la libertà, e vedere fedeli che parlano di Dio padre ma poi sono condizionati dalla paura di esistere mi lascia smarrito!». Il percorso che l’ha portato a indossare l’abito che fu del Poverello, Roberto lo ripercorre in chiarezza nelle sue tappe fondamentali. «Andando a studiare in biblioteca la sera, mi sono capitati fra le mani gli scritti di san Francesco e santa Chiara. Francesco mi è sembrato una persona meravigliosa: la Regola non bollata mi ha fatto piangere. Mi chiedevo: può esistere un uomo così libero e così gioioso come traspare da queste parole?». Dopo un primo approccio con la fraternità dell’Ordine francescano secolare di piazza Sant’Angelo a Milano – «Sono andato lì perché, dalle scorribande notturne fra i vicoli di Brera, mi ricordavo la statua di san Francesco» – Roberto approda dai Cappuccini di viale Piave, nel convento di fra Cecilio Cortinovis (fondatore dell’Opera san Francesco per i poveri, ndr) che aveva conosciuto tramite il nonno, già terziario francescano. «Il Poverello mi ha conquistato per la sua libertà, Gesù per il suo modo di amare: farsi da parte per affermare l’amore dell’altro, un modo completo, umile di amare». La vocazione, per Roberto, è stata quindi un collocarsi nel mondo non in posizione di dominio ma piuttosto al servizio degli altri: «Dio con me è stato delicato, mi ha atteso. Non è colui che io avevo temuto e rifiutato». Oggi le sue giornate si susseguono fra la preghiera, lo studio, l’insegnamento – Teologia a Milano e Venezia – e l’incarico come formatore per i giovani frati. Una volta al mese raggiunge la chiesa di Santa Maria delle Grazie al Naviglio per un momento di catechesi serale a cui partecipano decine e decine di persone. «Il senso di colpa si annida nel pensare che “dobbiamo dare, dare e dare” come per estinguere un dolore, una tristezza che abbiamo dentro di noi: è un modo di amare che non libera e non lascia libere le persone, come una mamma opprimente. Nella Chiesa siamo pieni di cose da fare, eppure Gesù dice di non prendere “né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone” ma di entrare nelle case e accettare quel che è offerto. Occorre imparare a lasciarsi amare e solo poi restituire quanto ricevuto». Lo sguardo va ancora a Gesù: «Sulla croce, prima di dire “tutto è compiuto” chiede da bere. La guarigione è poter dire ciò di cui si ha bisogno».
Il libro - Non siamo stati noi
«Si riprende in mano la parola di Dio scoprendo il volto misericordioso del Padre». Così fra Pasolini presenta il suo libro Non siamo stati noi. Fuori dal senso di colpa (San Paolo, 2021). «Cerco di aiutare a purificare il terreno, prima di passare all’annuncio della Buona novella. Tanti sono cristiani in maniera automatica, perché non hanno fatto obiezione, ma non hanno vissuto esperienza di riconciliazione con se stessi. Dio invece è tanto paziente con i nostri errori». Il libro è il primo di tre volumi che indagano l’intreccio tra la libertà dell’uomo e la sua relazione con Dio. Il secondo testo, in uscita a fine aprile sempre per San Paolo, s’intitola È stato Dio.
€ 16,00 € 15,20 -5% Editore: San Paolo Edizioni Collana: Dimensioni dello spirito Pubblicazione: 24/09/2020 Pagine: 224 Formato: Libro in brossura ISBN: 9788892222854 Questo libro si affianca alla storia e alle domande di ciascuno di noi, mettendosi alla ricerca di un "colpevole" che sia in grado di rispondere della sofferenza, del male, della fatica dell'esistenza