Non è roba da ridere, la morte. Eppure, ridendo e scherzando, si può provare a parlarne come si fa con le cose serie. In tono leggero, ma con profondità di sguardo. Ci prova Giacomo Poretti, funambolo della parola, noto al grande pubblico come componente dell’esilarante trio fondato trent’anni fa insieme ad Aldo Baglio e Giovanni Storti, ma che da tempo si esibisce sui palcoscenici di molte città in fortunate performance teatrali.
La prossima è Funeral home, al debutto nazionale il 10 dicembre al Teatro Oscar di Milano, con repliche fino al 14. Autori e protagonisti sono lo stesso Poretti e Daniela Cristofori, moglie e già compagna di scena in altre occasioni.
Una coppia di anziani si ritrova in una casa per onoranze funebri, quelle che sempre più spesso sostituiscono le chiese, per l’ultimo saluto a un amico. Lui, terrorizzato dalla morte, cerca in ogni modo di esorcizzarla tenendosi lontano dall’argomento, lei al contrario ne vuole parlare, eccome. Trascorreranno un’ora e mezza, lui a fuggire dalla realtà, lei a cercare di riportarcelo.
«Questa è un’epoca in cui si tende a rimuovere la morte e ciò che c’è dopo», commenta Poretti, «noi proviamo a riflettere su un tema così serio e complesso utilizzando il privilegio dell’umorismo e della comicità, che con il loro linguaggio consentono di avventurarsi in territori scomodi da cui si sta volentieri lontani. La comicità si propone come qualcosa di apparentemente inoffensivo, il pubblico abbassa le difese, si lascia coinvolgere e se adeguatamente preparato ti segue anche su argomenti spinosi e difficili».
L’ESPERIENZA DELLA FRAGILITÀ
Con l’esperienza del dolore e della fragilità, Poretti si era misurato frontalmente durante gli undici anni in cui ha lavorato come infermiere all’ospedale di Legnano, prima di darsi allo spettacolo. Ne dà conto alla sua maniera, unendo leggerezza e profondità, nel recente romanzo Turno di notte, dove il suo alter ego Sandrino — detto Saetta perché nessuno è veloce come lui ad accorrere al letto dei malati — fa i conti con la variopinta umanità che vive nelle corsie, riflette e fa riflettere sul valore della cura, della sofferenza e del limite. «Fare l’infermiere in ospedale ti mette di fronte al tuo datore di lavoro, la malattia, che a volte conosce un esito infausto, e genera domande sul senso della vita e della morte, che Sandrino rivolge in maniera incalzante all’Amministratore delegato dell’universo — altrimenti chiamato Sublime algoritmo — esigendo risposte soddisfacenti, e scoprendo che alla fine una ragione per tutto c’è, anche quando appare inafferrabile».
Poretti non ostenta ma neppure nasconde la sua fede, che ha riscoperto in età adulta grazie all’incontro con la donna che sarebbe diventata sua moglie e con un gesuita del Centro San Fedele di Milano, «un prete di 78 anni che sapeva andare al cuore delle cose e con cui ho ricominciato un cammino di fede».
È stato una specie di “nuovo inizio”, perché Giacomino nasce e cresce in ambiente cattolico: la famiglia di origine, la zia suora («si chiamava Pierina ma quando ha preso l’abito ha scelto il nome di Gilberta, secondo me ha peggiorato»), l’oratorio di Villa Cortese vicino a Legnano. È lì che per la prima volta si accende la scintilla della vocazione attoriale.
«Erano i primi anni Sessanta. Come in quasi tutti gli oratori lombardi, anche in quello che frequentavo io c’era un teatrino, e don Giancarlo Colombo ogni anno allestiva una commedia che diventava una sorta di rito collettivo che coinvolgeva tutto il paese. Venni scelto insieme ad altri due bambini solo per una battuta, ma l’esperienza di salire sul palco ed essere protagonista anche per pochi istanti mi ha segnato. Verso i trent’anni, quando lavoravo da tempo in ospedale — e avevo fatto carriera, da inserviente a caposala —, ho frequentato una scuola serale di teatro, nel tempo libero mi cimentavo nella recitazione che poi è diventato il mio lavoro, fino all’incontro con Aldo e Giovanni e al nostro debutto nel 1991 in un locale vicino a Malpensa».
CON ALDO E GIOVANNI
L’inossidabile trio, dopo la pausa legata anche al lockdown, tornerà nelle sale cinematografiche nel 2022 («ci vedremo dopo Natale per partorire una storia delle nostre»), ma al di là del successo di pubblico c’è un guadagno che Poretti sottolinea: «Con loro ho scoperto il valore dell’altro. Quando lavori con altre persone, specie se sei un artista, pensi di essere il migliore e ti senti frustrato se le tue idee non prevalgono o non vengono apprezzate. Prima pensi “Ma come è possibile? La mia idea è quella giusta!”, poi sei costretto a entrare in una logica diversa. È una fatica, inutile negarlo, ma porta i suoi frutti e plasma la tua umanità. Il nostro lavoro, e in fondo la ricetta del successo, è frutto di un’intensa collaborazione a tre. Per dirla grossa (ma vera), ti accorgi che l’altro è necessario per il tuo compimento».
Recentemente Giacomino è entrato a far parte di un altro trio: con Luca Doninelli e Gabriele Allevi condivide la direzione artistica del teatro Oscar a Milano, dove ha lanciato il progetto DeSidera: «Il desiderio è la cosa più importante che ci sia. È il motore della nostra vita, senza il quale non esisteremmo nemmeno. Gli uomini e le donne non smettono mai di desiderare, perché in tutti noi c’è la nostalgia di qualcosa che ci supera infinitamente, una sete che nulla può saziare: per questo il nostro desiderio alza lo sguardo verso le stelle».
UN PROGETTO SUL “DESIDERIO”
Poretti e soci hanno confezionato un cartellone dove i nomi della classicità convivono con chi percorre i sentieri dell’innovazione (www.oscar-desidera.it) e i primi due mesi hanno fatto registrare un notevole successo di pubblico. «Abbiamo coniato uno slogan — “La sala è più emozionante del salotto” — che è anche una piccola provocazione per il pubblico. Crediamo fortemente in un teatro dell’anima, che aiuti le persone a riflettere su di sé e sul mondo, anche con leggerezza, quando serve. È un piccolo contributo per uscire dalla nebbia in cui il Covid ha immerso un po’ tutti. Per la ripartenza di cui si continua a parlare, servono luci cui guardare. All’Oscar proviamo ad accenderne qualcuna».
(Foto di Serena Pea)
Chi è
Età 65 anni
Professione Attore comico
Famiglia Sposato con Daniela Cristofori, ha un figlio
Fede Attivo nel sociale e nel volontariato culturale
L’attore che fu infermiere
Giacomo, all’anagrafe Giacomino Poretti, nasce il 26 aprile 1956 a Villa Cortese, nel Legnanese. Da piccolo, frequentando l’oratorio della sua cittadina, si appassiona al teatro. Studia da geometra, ma poi lascia la scuola per andare a lavorare in fabbrica come metalmeccanico; alla sua chiusura, a 18 anni, entra all’Ospedale civile di Legnano, dove lavora per 11 anni come infermiere. Nel frattempo continua a fare teatro e nel 1985 conosce Aldo Baglio e Giovanni Storti, con cui forma un trio di successo. È impegnato da anni con il Centro San Fedele dei Gesuiti di Milano, dove organizza, insieme alla moglie, incontri culturali e spirituali.