Pamplona, 20 maggio 1521. Una palla di cannone provoca una ferita profonda. Maciullata una gamba, infranti i sogni di gloria. Per i Gesuiti di tutto il mondo questo episodio è fondamentale, rappresenta una tappa importante nella vita del loro fondatore, ma è anche un’icona del percorso spirituale di ogni persona. La ferita in battaglia di Ignazio di Loyola determina la svolta da cui nascerà la Compagnia di Gesù. Il cinquecentenario di questo episodio si sta celebrando in tutto il mondo con un “Anno ignaziano”, dallo slogan Vedere nuove tutte le cose in Cristo: aperto il 20 maggio scorso, si concluderà il 31 luglio 2022, nel giorno della festa del santo.
«La storia di sant’Ignazio è stata paradigmatica nella mia vita. Era determinato ad avere successo a corte e aveva una tabella di marcia già pronta per se stesso. La ferita cambiò tutto, gli diede il tempo di riflettere e di vedere che Dio aveva sogni diversi per lui. Con la gamba distrutta, si convertì in pellegrino, in camminatore verso la vera libertà», scrive il 31° successore di Ignazio, padre Arturo Sosa, nel libro-intervista con il giornalista Darío Menor In cammino con Ignazio (Apostolato della Preghiera Edizioni).
GLI OSTACOLI CHE CONVERTONO
Quando il 3 maggio il libro è stato regalato a papa Francesco, anche lui si è soffermato sui momenti “palla di cannone”, quelli che cambiano la vita. «Processi simili sono avvenuti nella mia vita in modi e tempi diversi, quando ho imparato ad ascoltare come Dio mi parla. In questo tempo di Covid, sta accadendo nella vita di così tante persone che si trovano faccia a faccia con i limiti dei loro progetti di vita. La conversione è essere sulla strada per diventare esseri umani più pieni», spiega Sosa.
Il preposito generale dei Gesuiti è stato eletto il 14 ottobre 2016. Anche lui, come Francesco, viene dalla “fine del mondo”. È nato in Venezuela, il 12 novembre del 1948. Nello stesso mese, il 24, un colpo di stato depose Rómulo Gallegos Freire, il primo presidente scelto democraticamente. Il padre di Sosa, economista e avvocato, contribuì a ricostruire il Paese.
Famiglia numerosa, sei fratelli, mamma oggi 97enne, padre Arturo ha respirato in casa e a scuola dai Gesuiti la necessità di studiare, di formarsi per capire la realtà e fare qualcosa per aiutare il proprio Paese. La Compagnia per lui è stata anche una risposta a queste urgenze. «Volevo essere un medico, questa è la mia prima vocazione. Facevo tanti esperimenti sugli animali, portavo a casa insetti, roditori… ma quando un chirurgo, amico di famiglia, mi invitò un paio di volte in sala operatoria, sono quasi svenuto… E ho capito che non era la mia vocazione. D’altra parte, crescendo, ho visto che l’intera società era ammalata. Posso fare qualcosa per aiutarla a guarire? Mi sono chiesto. In questo la vocazione alla Compagnia mi ha aiutato».
Ma cosa rappresenta, nello specifico, per Arturo Sosa, la figura di Ignazio? «L’ho conosciuto da bambino, ho studiato nel collegio Sant’Ignazio, dove la celebrazione della ferita di Pamplona veniva ricordata solennemente. Durante la scuola media ho cominciato a seguire ritiri ed esercizi spirituali, a praticare la preghiera personale, chiaramente in maniera adatta a quell’età. Gli esercizi spirituali sono stati importanti per la mia scelta, al pari dell’esempio dei Gesuiti che ho incontrato. Mi hanno spinto a guardare fuori dalla mia famiglia e dalla scuola».
PRIMO GENERALE NON EUROPEO
Nel suo ufficio al quarto piano della Curia generalizia, a borgo Santo Spirito a Roma, c’è un’immagine della madonna di Guadalupe — «la sua festa è il 12 dicembre: è la data del matrimonio dei miei genitori, del mio Battesimo e dei miei ultimi voti in Compagnia» — e un piccolo crocifisso, dono del padre prima di entrare nella Compagnia: «Da un lato c’è la croce e dall’altro l’immagine della Madonna, li porto dappertutto».
Studi universitari in politiche e scienze sociali, Sosa prima della sua elezione ha guidato le case internazionali di Roma. Primo preposito generale non europeo con il primo Papa gesuita, si trova a guidare l’Ordine religioso più numeroso al mondo, che oggi conta 14.800 membri (10.700 presbiteri, 890 fratelli, 2.590 scolastici e 630 novizi). E lo fa con l’impronta che gli viene dalla sua cultura e dalla storia della sua Chiesa.
Dopo la sua elezione spiegò che la Teologia della liberazione «è un modo di fare teologia che ancora seguiamo» e che «quando papa Francesco parla di periferia e frontiere fa riferimento all’intuizione più forte della Teologia della liberazione, l’incarnazione del Vangelo. Se non siamo alla periferia, se non guardiamo con gli occhi dei poveri, non facciamo una teologia evangelica che liberi gli oppressi. Nessuno è povero per una libera scelta. Da lì parte il movimento della giustizia che è di liberazione, per arrivare alla libertà di tutti, non per far vincere un gruppo contro gli altri».
Quest’Anno ignaziano vuole riflettere proprio sulla libertà. In che senso? «Come Compagnia di Gesù vogliamo rinnovare il nostro impegno a percorrere, uniti alla Chiesa e a tante altre persone di diverse culture, fedi e luoghi geografici, il cammino di liberazione».
FEDE E GIUSTIZIA
Uno degli eventi che Sosa ricorda con maggior affetto e riconoscenza è la 32ª congregazione generale, svoltasi durante il generalato di padre Pedro Arrupe, nel 1974, in cui si approfondì il rapporto tra fede e giustizia. «A quei tempi studiavo teologia e quando si arrivò a quella bellissima formula — «servizio per la fede e promozione della giustizia» — per noi fu una grande gioia, una conferma del concilio Vaticano II e dell’impegno di tanti cristiani, Gesuiti e altri, in questa direzione. Tutta la mia vita nella Compagnia è stata segnata da questi temi». Oggi, dice Sosa, quei temi sono più che mai attuali. E l’opposizione che papa Francesco incontra nella sua azione di riforma nasce da lì.
«Lo snodo non è la persona di Francesco, ma quello che lui rappresenta. Cioè prendere sul serio il Vaticano II. Lo ha fatto come gesuita, come vescovo, e ora che ha la responsabilità di guidare la Chiesa, lo fa come Papa. Questa è la grande lotta che c’è nella Chiesa dal 1965 in poi. Paolo VI ha sofferto moltissimo per questa tensione interna. Francesco ha detto chiaramente che il simbolo di questo è il clericalismo. O facciamo una Chiesa clericale, che fa della religione un modo di imporsi sugli altri, o facciamo una Chiesa popolo di Dio, quella conciliare».
L’AMICIZIA CON IL PAPA
Con il confratello gesuita nelle vesti di Papa «c’è una relazione molto fraterna. Il Papa è estremamente rispettoso, si fa un lavoro in comune molto gradevole. Ma questa è la Compagnia da 470 anni: siamo a disposizione della Chiesa tramite i desideri del Papa. Certo, quando il Papa è vicino è molto più facile».
Padre Sosa non unisce la sua voce a quanti lamentano il clima di scristianizzazione galoppante. «Per me la secolarizzazione è una grandissima opportunità per presentare il messaggio evangelico come cammino dell’umanità. In alcuni contesti il cristianesimo è diventato parte della cultura dominante; nel mondo secolarizzato, invece, la scelta cristiana è più consapevole e libera, fatta di comunità di persone che hanno scelto la fede. Non per tradizione, ma per mettersi in cammino, per condividere l’incontro con il Signore e con gli altri. Questa è una Chiesa più creativa e vivace».
CHI È
Età 73 anni
Professione Preposito generale
Famiglia Gesuiti
Fede Orientata alla giustizia e all’impegno sociale
Confratello del Papa
Nato a Caracas, in Venezuela, il 12 novembre 1948, Arturo Sosa Abascal è preposito generale dei Gesuiti dal 14 ottobre 2016. Laureato in filosofia, scienze politiche e teologia, è il trentunesimo successore di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, alla quale appartiene anche papa Francesco.
In Venezuela padre Sosa è stato coordinatore dell’apostolato sociale e direttore del Centro Gumilla, un importante ente di ricerca dei Gesuiti. Ha dedicato molti anni all’insegnamento e alla ricerca accademica. È stato professore all’Università cattolica Andrés Bello e rettore dell’Università cattolica del Táchira, sempre in Venezuela.