C’è un nuovo “don” in tv. Si chiama Michele, lo trovate sul canale Tv2000 e per tutti è già diventato il nuovo don Matteo. Il paragone per la verità non è esattissimo: il sacerdote protagonista della nuova serie Canonico, in onda dal 14 dicembre su Tv2000, non risolve crimini, non collabora con la polizia e non va nemmeno in bicicletta. Per capirci: è decisamente di un’altra parrocchia. Tuttavia sono poche le fiction italiane che raccontano la vita sacerdotale (più o meno contaminata con altri generi televisivi) e che provano a spingere gli spettatori a riflettere sul senso della vita. Dunque, per quanto la definizione non sia appropriata, l’attore Michele La Ginestra sembra destinato a diventare, a furor di popolo, l’erede in tonaca di Terence Hill, almeno per il pubblico di Tv2000. E allora noi lo abbiamo incontrato.
È pronto?
«Assolutamente no! (ride, ndr). In molti mi hanno subito paragonato a don Matteo (ora come il suo erede, ora come l’anti don Matteo), ma credo che la serie vada in un’altra direzione: con Canonico proviamo a raccontare i preti nella loro umanità. Il mio don Michele, per quanto solare e dedito alla vita della parrocchia, non è un supereroe né un brillante detective: è un uomo fallace, che riflette in primis sui propri limiti. Per esempio, in una puntata sarà chiamato a dare l’unzione degli infermi a un criminale e lo vedremo dibattuto: come sacerdote, sa quale sia la cosa giusta da fare ma come uomo non è certo di essere in grado di perdonare una persona che si è macchiata di efferati delitti. Cerchiamo quindi di restituire la verità del sacerdozio che, spesso, si trova a dover fare i conti con molte difficoltà».
In tv e al cinema il prete viene spesso rappresentato come un uomo di potere o, in alternativa dedito ai piaceri della carne. Quanto è importante riscattare l’immagine degli uomini di Chiesa, valorizzandoli?
«La sfida di Canonico è proprio questa: mostrare come i sacerdoti non si limitino a fare proseliti dal pulpito, alla domenica. Il loro è un lavoro quotidiano di conforto con persone che, magari, non sono nemmeno interessate alla Parola di Cristo ma hanno bisogno semplicemente di mangiare o di trovare lavoro. Ma poco importa. Loro infatti vanno avanti, si prendono cura degli ultimi, giorno dopo giorno, perché è attraverso l’opera che si crea l’affiliazione e i legami d’amore. Inoltre vorremmo far emergere come il sacerdote non sia semplicemente una persona che elargisce consigli di buon senso (cosa, peraltro, che potremmo fare tutti) ma è un uomo che si lascia illuminare dallo Spirito Santo. È questo lo scarto, ossia l’azione dello Spirito su di lui».
In una puntata vedremo don Michele insistere affinché le porte della sua parrocchia restino sempre aperte, a qualsiasi ora del giorno. Oltre a una Chiesa in uscita ci deve essere anche una… Chiesa in entrata?
«Il problema di oggi è che tutti, credenti e non, tendiamo a tirare su muri. E quando si costruiscono i muri, si mettono pure le porte… Bisogna invece provare ad affrancarsi dall’idea che quello che si fa all’interno della propria cerchia di amici è giusto, mentre tutto quello che accade fuori è sbagliato. Gesù diceva: “Ero straniero e mi avete accolto”. Poi certo, non è facile aprirsi a idee diverse, culture e confessioni religiose differenti, ma l’accoglienza arricchisce e in particolare noi cattolici dovremmo essere predisposti all’apertura verso il prossimo. La stessa parrocchia nasce proprio come quel luogo dove ci si sente accolti a prescindere da quello che siamo. Quanti altri posti ci sono così?»
In realtà... mi verrebbe voglia di chiederle quante parrocchie ci siano così...
«Ci sono! Eccome se ci sono! Papa Francesco ha sollecitato all’accoglienza e alcune chiese hanno risposto attivamente al suo invito. Per esempio a Questa è vita, la trasmissione che ho condotto con Arianna Ciampoli, abbiamo raccontato la scelta di alcune parrocchie che hanno rivoluzionato i propri spazi interni per destinare alcuni vani alle persone che vivono per strada, garantendo così loro un tetto sulla testa e magari anche un pasto caldo».
Quali altre questioni di particolare attualità avete affrontato nella serie?
«Abbiamo toccato svariati temi, spaziando dal matrimonio all’immigrazione, fino al bullismo. Personalmente mi è piaciuto molto il bel rapporto di dialogo che lega don Michele e il suo vescovo: quello con il proprio superiore è un rapporto essenziale all’interno di qualsiasi struttura prefettizia. Quando si trovano in difficoltà, i preti devono poter confrontarsi con il proprio superiore, non in quanto loro capo ma in forza del fatto che è un uomo che ha percorso più cammino di loro».
Dunque Canonico è una serie tv che ambisce a parlare anche ai preti?
«Onestamente mi auguro che qualche sacerdote guardi la serie, anche se capisco che potrebbe essere difficile. Se facessero una serie tv sugli attori non so se la guarderei perché, come tutti, ho la presunzione di fare bene il mio lavoro. In ogni caso vorremmo arrivare a chiunque: laici e preti, persone credenti e non. Per questo, una volta conclusa la prima messa in onda su Tv2000, mi piacerebbe che Canonico venisse replicato sulle piattaforme streaming o da altri canali tv».
Don Michele non è il suo primo prete: ne ha interpretati diversi, dal don Ottavio nel film Immaturi al sacerdote della pièce È cosa buona e giusta. Che idea si è fatto dell’uomo di Chiesa?
«Un’idea bellissima, anche perché senza alcuni preti illuminati io non sarei mai diventato quello che sono. Il prete è uno stimolo alla riflessione, un porto sicuro, oltre che un aiuto a mettere in pratica la fede. Io sono stato molto fortunato perché ho incontrato diversi grandi uomini sul mio cammino. Padre Giuliano Conte si è battuto affinché il teatro potesse diventare uno strumento di catechesi ed è solo grazie a lui se oggi esiste il Teatro 7 a Roma: sto portando avanti la sua opera educativa e possiamo vantare oltre 400 ragazzi iscritti ogni anno. Poi, oltre a don Giuliano, per il mio cammino sono stati fondamentali anche don Fabio Rosini e don Andrea Cavallini, che peraltro ho coinvolto nel programma I magnifici 7: sono due uomini eccezionali e non a caso il primo è responsabile del Centro vocazionale della diocesi di Roma e l’altro dell’Ufficio catechistico…».
Qual è l’aspetto che più la affascina del messaggio cristiano?
«Il fatto di poter considerare Dio come un Padre. Il Signore non è un’entità lontana, né un Dio castigatore, ma un Padre al quale puoi dare del tu come dimostra la stessa formula del Padre nostro. Ogni volta che ci penso, lo trovo bellissimo: Dio ci considera talmente importanti da chiamarci figli e, attraverso questa affiliazione, di fatto valorizza l’essere umano, salvandolo dalla morte».
(Foto di Stefania Casellato)