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Paolo Massobrio: «Chi è cristiano sa gustare la vita»

15/04/2021  Per il critico enogastronomico, autore del libro "Del bicchiere mezzo pieno" (Comunica Edizioni), non è un caso che Gesù abbia reso sacramento il pane e il vino durante una cena. «Il cibo ricorda l’aspirazione al bello e al buono»

La sua foto-simbolo lo ritrae sorridente con l’immancabile papillon e in mano un calice di vino. Ma di questi tempi, immersi come siamo in una pandemia che sembra non avere fine, c’è poco da sorridere e da brindare, non le pare, Paolo Massobrio? «Non vorrei sembrare una persona fuori dal tempo o uno sprovveduto ottimista, ma sono convinto che nella vita ci sia sempre qualcosa che aiuta a guardarla con un accento di positività». Per questo Massobrio, giornalista, gastronomo, fondatore di Golosaria, rassegna di cultura e gusto, e presidente di Club Papillon, movimento di consumatori dedito al gusto, ha appena pubblicato un libro dal titolo emblematico, Del bicchiere mezzo pieno (Comunica Edizioni) che nel sottotitolo recita “Quando nella vita conta lo sguardo”.

Cosa permette di guardare all’esistenza come a un bicchiere mezzo pieno?

«Il mio libro stavolta non è dedicato a vini e prodotti ma a incontri con gente “umana”: oltre cinquanta personaggi che hanno uno sguardo positivo sulla vita o che sono stati guardati da una Provvidenza che viene incontro. Il bicchiere è mezzo pieno quando sei riconoscente del dono che hai ricevuto che, a sua volta, alimenta il desiderio che non finisca mai il gusto per la vita e le cose, anche nel dolore, anche di fronte al limite. Ma per rispondere pienamente alla domanda aggiungo che puoi guardare così, se sei stato “guardato” tu. E tutti siamo stati guardati dai collaboratori del Creatore, che sono i nostri genitori. Nella vita subentrano altre paternità, altri che incoraggiano le tue doti a esprimersi, perché a tua volta tu faccia lo stesso, scoprendo che nella tua storia personale ci sono stati sguardi di tenerezza che sono risultati decisivi, ma anche situazioni che ricordano il banchetto del film Il pranzo di Babette, che rappresenta il centuplo ma anche la capacità di trovare l’unità delle persone attraverso ciò che non si vedeva: il gusto, appunto».

I ripetuti lockdown a cui ci siamo dovuti sottoporre hanno moltiplicato pranzi e cene in famiglia aiutando a riscoprire, in una società sempre più anonima e frettolosa, la tavola come luogo di incontro.

«È un frutto positivo del lockdown, insieme alla riscoperta delle ricette della mamma (e della nonna) e delle tradizioni locali. Questa rinnovata attenzione al cibo ha messo in luce la centralità della tavola in una famiglia, che resta il luogo fondamentale per la costruzione di una civiltà e per la trasmissione di un seme, ma ha anche evidenziato il limite del mangiare e del bere. Mi spiego: ci sono famiglie che fanno i conti con una nuova povertà, perché la perdita del lavoro in diversi casi ha portato con sé dei sacrifici nel consumo alimentare. Su un altro versante, chi non ha problemi economici si è illuso di trovare “sollievo” nel cibo, scoprendo anche qui un limite: se non si sta davanti al cibo con un senso di misura, si cerca una consolazione che alla fine produce un inutile sovrappeso fisico. È come se il lockdown avesse acutizzato aspetti già presenti, facendo emergere l’importanza della misura. Lo diceva già san Benedetto nella sua Regola».

Cosa c’entra san Benedetto?

«La giusta misura è il principio cui deve costantemente ispirarsi il monaco nell’alimentazione, come in ogni altro aspetto della vita monastica. Se il cibo è essenziale alla sopravvivenza dell’uomo, nutrirsi non deve essere causa di eccessi e di comportamenti smodati, che compromettono l’equilibrio fisico e spirituale. Fare insieme un percorso, dunque, immaginando che i 14 pasti di una settimana sono benèfici se consumati con un criterio, è uno degli aspetti positivi che qualcuno ha riscoperto nel lockdown».

Il cibo usa un linguaggio universale, che favorisce l’incontro tra culture e tradizioni diverse.

«È qualcosa che mette insieme le persone, rappresenta la partecipazione alla vita e ricorda che nel cuore di ogni uomo c’è l’aspirazione al bello e al buono. Evoca qualcosa di “sublime”. Non è un caso che Gesù abbia reso sacramento, cioè segno tangibile del Mistero, il pane e il vino durante una cena, e che il suo primo miracolo sia avvenuto a Cana durante un pranzo di nozze».

Però c’è chi sottolinea che un bravo cristiano dev’essere una persona morigerata.

«Ma questo non significa rinunciare a godersi la vita, a gustare il cibo come manifestazione della bellezza. Santa Ildegarda di Bingen, dottore della Chiesa vissuta mille anni fa, in una lettera al suo vescovo scrive: “Tutte le cose che possiamo vedere, toccare e percepire con il gusto sono state create da Lui. Ed Egli le ha viste tutte in qualche modo indispensabili per l’uomo: per l’amore totale, per la paura, l’ubbidienza e la prudenza in ogni occasione. Tutto ciò che ha creato ha qualcosa di visibile e non visibile. Ciò che si vede è debole, ciò che non si vede è forte e vivo”. Una cosa buona ti rende più certo, quasi a dirti che c’è proprio per te, perché tu possa riconoscere Dio anche in quella cifra».

Papa Francesco nella Laudato si’ esorta alla salvaguardia del creato, che comprende anche la lotta allo spreco alimentare.

«Quella enciclica del Papa è profetica perché pone l’accento sull’urgenza di questo tempo: la gestione delle risorse. Profetica perché la pandemia ha messo tutti di fronte a una verità: non ci si salva da soli. Vale per i vaccini ma anche per l’ambiente, che può essere salvato solo da una catena di gente che assume una nuova responsabilità in virtù di una sensibilità che fortunatamente si va diffondendo. Ma non è stando alla finestra a guardare lo spettacolo di una cosa più grande di noi che si progredisce: servono gesti concreti, personali e collettivi. La lotta allo spreco alimentare fa parte di quegli atteggiamenti che riguardano ciascuno di noi. Non sprecare il cibo, culturalmente, afferma che non sei padrone di tutto, anche se lo puoi comprare, perché ciò che hai è comunque un dono. Come lo è l’ambiente dove vivi. Non è scontato ricordarci che siamo provvisori su questa terra e che il vero progresso è quello di lasciare un mondo migliore ai nostri figli e nipoti».

Lei è uomo di gusto: quali sono, nell’ordine, il piatto, il prodotto e il vino preferiti?

«Il mio piatto preferito è la bagna caoda, una salsa di acciughe, aglio e olio dentro cui intingere le verdure invernali. È il piatto della memoria della gente piemontese e della compagnia: si mangia insieme, oggi ciascuno con il proprio fornelletto, ieri con una grande pentola piatta su un braciere. Il prodotto è un salume: la coppa piacentina stagionata al punto giusto e da gustare con un pane croccante di pasta dura. Il vino è “la” Barbera, un prodotto popolare che oggi viene considerato un grande vino internazionale: profuma di rose e mandorle, è fresco grazie alla sua acidità, diventa un velluto invecchiando».

Il movimento - Un club per educare al gusto

Club di Papillon è un movimento fondato da Paolo Massobrio che oggi conta oltre seimila soci e 50 gruppi in Italia. Ogni club locale organizza incontri dedicati al gusto: dai corsi di cucina e di degustazione di vini, a serate incentrate su argomenti enogastronomici. Info: www.ilgolosario.it.

 

Enogastronomo da trent’anni

  

Età 60 anni

Professione Critico enogastronomico

Famiglia Sposato padre di tre figli

Fede Cattolica

Paolo Massobrio, leva 1961, milanese di origini monferrine, sposato e padre di tre figli, si occupa da oltre trent’anni di economia agricola ed enogastronomia come giornalista, sommelier e critico gastronomico. Ha ideato Golosaria, rassegna enogastronomica di riferimento per il settore agroalimentare italiano. Si occupa di educazione alimentare, organizzando serate per l’Italia con esperti e uomini del mondo dello spettacolo. Tra le curiosità, è segretario e ideatore dei “Seminari internazionali sul vino da Messa”, mentre nel 1992 ha dato vita all’associazione Club di Papillon, di cui è presidente.

Del bicchiere mezzo pieno. Quando nella vita conta lo sguardo

€ 18,00 € Editore: Comunica Pubblicazione: 16/11/2020 Pagine: 208 Formato: Libro in brossura ISBN: 9788887449990 Quale piega può prendere la vita? Con questa domanda inizia il viaggio di Paolo Massobrio, giornalista molto conosciuto nel mondo del vino e del cibo, che in un arco di 35 anni ripercorre, di fatto, la storia dell'enogastronomia italiana contemporanea attraverso gli incontri con personaggi di umanità varia, oltre cinquanta.

 
 
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