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martedì 17 settembre 2024
 
 

Cesare Cremonini, l'amore è logico

25/06/2014  Il cantautore bolognese parla del suo nuovo album, tra l'omaggio a Lucio Dalla e la riflessione sulle conseguenze della separazione dei genitori per un figli. E il ricordo della prima insegnante di pianoforte: suor Vincenza.

Un papà medico che anche di notte riceve le telefonate dei pazienti a cui spesso ripete una parola: «logico». Quella parola si appiccica nella mente del figlio Cesare: è una delle prime che impara a ripetere e molti anni dopo diventa una canzone e un disco. Logico è il quinto album di Cesare Cremonini. «L'ho chiamato così perché sono arrivato a un’età, 34 anni, che ti impone delle scelte, nella vita privata e nel lavoro. Questa pressione è positiva, ma conosco tanti coetanei che si sono buttati nella mischia e ne sono usciti con le ossa rotte.  E' un’età in cui si rischiano grandi sbagli. per evitarli, bisogna usare la razionalità. da qui il titolo Logico».

Il singolo omonimo è anche una riflessione sulla solitudine?
«C’è la rinuncia all’illusione romantica di trovare a tutti i costi l’anima gemella per iniziare una relazione. nella canzone mi chiedo: “Chissà se amare è una cosa vera?”.  A questa ricerca della perfezione, che spesso conduce solo alla solitudine, preferisco la ricerca di una complice, che sappia capirti e starti accanto. E' una canzone disillusa, ma allo stesso tempo piena di desiderio d’amare».

In un’altra canzone,Io e Anna, hai omaggiato uno dei tuoi maestri, Lucio Dalla, immaginando il seguito della sua Anna e Marco...
«Sì, mi sono chiesto come sarebbero diventati i due protagonisti di quella meravigliosa canzone, all’epoca adolescenti. Ho quindi immaginato una coppia alle prese con i problemi di oggi: la casa, il lavoro. Anna va in crisi e marco cerca di non perderla».

In Se c’era una volta l’amore torni a raccontare la sofferenza che prova un figlio a causa della separazione dei genitori, esperienza che hai vissuto in prima persona e che hai già raccontato dieci anni fa in Padremadre. Che differenze ci sono tra le due canzoni?
«In Padremadre raccontavo la fuga di un figlio dai genitori che, per lenire il loro senso di colpa, erano diventati iperprotettivi al punto da programmargli il futuro. In questa, accade il contrario: crescendo, i genitori si allontanano dalla tua vita e ti ritrovi a fare i conti con questa mancanza. Entrambe riflettono i cambiamenti avvenuti in questi dieci anni in me e nei rapporti con la mia famiglia».

Com’è avere un padre di 90 anni?

«Provo per lui una tenerezza e una stima immense. Allo stesso tempo la sua età mi impone di pensare continuamente a quando non ci sarà più. Purtroppo, il lavoro non mi dà mai la possibilità di stargli accanto quanto vorrei e forse è per questo che nei miei dischi parlo sempre di lui».

È vero che la tua prima insegnante di pianoforte è stata una suora?
«Sì, si chiamava suor Vincenza. Io avevo sei anni. Lei molti, molti di più. Con me era dolcissima. Mi spaventava solo il fatto che, insomma, avesse un po’ di baffi».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei davvero commosso?

«Mi capita abbastanza spesso, soprattutto al cinema. Ma se devo dire un episodio preciso, mi è successo per una recente vittoria in un match della tennista Sara Errani. Mi commuovono molto le imprese sportive degli atleti italiani. Questi ragazzi e queste ragazze sanno trasmettere valori molto importanti come lo spirito di sacrificio e la pazienza nell’attendere i risultati. Le loro esplosioni di gioia dopo una vittoria mi colpiscono nel profondo».

 
 
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