In occasione della 97ª Giornata mondiale del risparmio (il prossimo 31 ottobre), proponiamo qui una breve riflessione sul risparmio delle famiglie, incentrata su due temi generali: in primo luogo, la crescita complessiva del risparmio familiare, anche in tempi di difficoltà economica in pandemia; in secondo luogo, la presenza di una quota non marginale – e crescente - di famiglie che invece, non solo non riescono a risparmiare, ma addirittura “fanno fatica ad arrivare a fine mese”.
Rispetto all’ammontare complessivo del risparmio familiare, le famiglie italiane da sempre mostrano un propensione al risparmio familiare particolarmente rilevante, soprattutto nel confronto con altri Paesi ad avanzato sviluppo, potendo così in parte anche compensare l’eccessivo debito pubblico, che altrimenti sarebbe insostenibile. Se ad esso si aggiunge anche l’altrettanto elevata propensione ad investire i propri risparmi nel mattone, sempre da parte delle famiglie italiane, più che in investimenti finanziari o d’impresa, si capisce che l’atteggiamento complessivo delle famiglie italiane si caratterizza come di estrema prudenza (e anche sfiducia) verso chi dall’esterno può sostenerti economicamente: meglio avere un proprio tesoretto da parte, su cui fare affidamento in tempi difficili. È anche per questo che, in modo per certi versi paradossale, anche durante la pandemia il risparmio delle famiglie è ulteriormente cresciuto, arrivando a cifre monstre, del tipo 2 mila miliardi complessivi di risparmio (meglio non scriverlo in cifre, ci vogliono dodici zeri!). Di molto superiore ad un anno di Prodotto Interno Lordo (mentre, di converso, il debito pubblico è oltre il 150% del valore del PIL).
Con questa spiccata propensione al risparmio la maggior parte delle famiglie si muove come un soggetto economico responsabile, “che basta a se stesso”, e che quindi non mette a rischio il sistema con un sovra indebitamento che può diventare diventa destabilizzante. Basti pensare al caso dei “derivati” bancari, che hanno messo in ginocchio tante banche e anche tante amministrazioni pubbliche, sventatamente espostesi con indebitamenti e finanziamenti incerti ed oscuri.
Non mancano peraltro commentatori che – con qualche ragione - considerano questa sovrabbondanza di risparmio familiare come una zavorra improduttiva, in quanto queste risorse potrebbero diventare ben più generative di reddito, occupazione e sviluppo se fossero impiegate a sostegno diretto dell’economia reale. Però, realisticamente, dire ad una famiglia di mettere genericamente i propri risparmi a sostegno del rischio di un’impresa, o peggio ancora in investimenti finanziari gestiti da grandi finanziarie multinazionali impersonali, non sembra tanto ragionevole, se ci si muove con la “prudenza del padre di famiglia”.
Non tutte le famiglie però riescono a risparmiare, e ciò conferma il grave e crescente problema di una permanente disuguaglianza presente nel nostro Paese. Così come per il pollo di Trilussa, di cui “in media” ogni persona ne aveva metà, mentre in realtà il pollo ce l’aveva uno solo, e l’altro non ne aveva affatto… Anche questa costante crescita del risparmio complessivo delle famiglie nasconde al proprio interno una quota non marginale di famiglie che non riescono a risparmiare alcunché – e spesso fanno fatica ad arrivare a fine mese. Nel 2020, secondo l’indagine “Gli italiani e il risparmio” (realizzata Ipsos per Acri, l’associazione delle Fondazioni e delle Casse di Risparmio e Ipsos), presentata in questi giorni, circa il 20% delle famiglie italiane non è riuscita a mettere via niente. L’indagine è estremamente ricca di dati e di informazioni, e nel complesso conferma un’Italia divisa in due parti abbastanza sbilanciate, rispetto al benessere economico (potremmo dire “tre quarti ed un quarto”); da una parte un’ampia maggioranza di nuclei che è riuscita ad attraversare bene anche una crisi come quella pandemica (anche grazie ai ristori/sostegni economici del Governo ), un‘altra, minoritaria ma non marginale, tra il 20 e il 25% dei nuclei, che arranca, e che ha sofferto lo shock della pandemia anche dal punto di vista dell’incertezza economica. Del resto lo stesso premier Draghi era ben consapevole di questa criticità, quando, nel discorso per la fiducia al Senato, aveva ricordato la crescita della disuguaglianza economica del Paese, citando esplicitamente l’indice di Gini.
La presenza di questa fascia di famiglie in difficoltà esige ovviamente particolare attenzione da parte della politica, oltre che una riflessione specifica sulle caratteristiche dei nuclei in difficoltà: la maggior vulnerabilità è infatti più presente per famiglie giovani e con più figli, che per di più, va ricordato, sono state solo marginalmente destinatarie del reddito di cittadinanza, mentre i nuclei con anziani al proprio interno manifestano maggiore solidità economica e minore propensione alla povertà. Il che è un dato preoccupante, perché imputabile soprattutto alla incertezza e povertà dei giovani e dei loro percorsi professionali, mentre “basta” il reddito fisso della pensione di un anziano per migliorare la situazione.
Molto c’è quindi da fare, in termini di politiche del lavoro, retributive, previdenziali; e ricordiamoci anche che le famiglie, risparmiando, intendono soprattutto proteggere le generazioni più giovani, i propri figli, diminuendo il consumo presente a favore di un reddito futuro. E anche la spiccata propensione all’acquisto della casa si comprende meglio in quest’ottica intergenerazionale: si spostano risorse della famiglia dal presente al futuro; perché è nel futuro che dovranno vivere i nostri figli.
Quindi attenzione anche nel considerare il bene casa – anch’esso in genere investimento per le future generazioni - come ricchezza da tassare: perché rischiamo di tassare il futuro dei nostri figli, Esattamente il contrario di quello che chiede – e di quello che dovrebbe fare – il PNRR, che non a caso si chiama Next generation EU.
* direttore Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia)