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giovedì 22 maggio 2025
 
 

Crescita, idolo del nostro tempo

11/09/2011  Si fa largo una nuova mentalità, promotrice di una vita più sobria, che salvi l'uomo e l'ambiente. Il dibattito nella Giornata mondiale dell'interdipendenza.

«La crescita per la crescita è l’ideologia delle cellule del cancro».
Edward Abbey (1927-1989)


    La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

   Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

   Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

Sandro Calvani
direttore del Centro Asean sugli obiettivi di sviluppo del Millennio dell'Onu

   Avete mai riflettuto sul fatto che se un'azienda produce e vende armi, o un qualsiasi altro prodotto provocando inquinamento o danneggiando la salute dei lavoratori, creerà un aumento del Prodotto interno lordo (Pil) di una nazione, mentre l'aumento della spesa per l'istruzione o la sanità vengono iscritte sotto la voce delle spese di un bilancio, e quindi determinano un deficit? Sembra chiaro che i conti non tornano. Eppure Stati e organismi internazionali si ostinano a considerare il Pil alla stregua di un totem, una divinità a cui inchinarsi e in base alla quale valutare la solidità di un Paese e della sua economia.

   Per fortuna da un po' di tempo un gruppo sempre più nutrito di economisti ha osato sollevare qualche dubbio e il valore assoluto del Pil è stato messo in discussione. Un'autorevole scuola, che annovera nomi prestigiosi come Joseph Stiglitz e Amartya Sen, entrambi premi Nobel, ha elaborato anche per conto di Stati e organismi internazionali (come l'Onu o il Governo francese) degli indici più complessi e maggiormente capaci di fotografare lo stato di benessere di una società. Si parla appunto di indici di benessere, all'interno dei quali il vecchio Pil non viene cancellato, ma restitutito al suo ruolo effettivo di misuratore della produttività, e soprattutto viene integrato con altri strumenti, che indagano il livello medio di istruzione, la possibilità di accedere alla cure sanitarie, le condizioni ambientali, la mobilità e così via.

   Non è però soltanto un problema di indicatori. La questione vera è se la crescita (economica) debba essere un imperativo assoluto e inderogabile. Ha senso correre verso un incessante aumento della produzione, o piuttosto porsi altri obiettivi? Ad esempio si potrebbe puntare a dare lavoro a tutti, lavorando tutti un po' meno. Oppure si potrebbe immaginare uno stile di vita in cui abbiamo meno necessità materiali e diamo più soddisfazione a quelle spirituali: si parla, con espressione pregnante, di sobrietà felice. Ha senso cercare di produrre sempre più auto, o converrebbe inventarsi uno stile di vita che riduca il bisogno dell'auto (e quindi dell'immissione di gas serra nell'aria, della corsa al petrolio con tutto ciò che ne consegue, delle costruzione di strade, del rumore...)?

   Certo, la decrescita apre una rivoluzione, indica una direzione. Prima o poi bisognerà prenderla seriamente in considerazione.

Per chi volesse approfondire il tema, ecco qualche link e suggerimento bibliografico.
Siti: www.decrescita.it, www.decrescitafelice.it, www.decrescita.com.
Libri:
Serge Latouche, Il tempo della decrescita, Eleuthera; Stiglitz-Sen-Fitoussi, La misura sbagliata delle nostre vite, Etas; autori vari, La soglia della sostenibilità, ovvero ciò che il Pil non dice, Donzelli.

Paolo Perazzolo

La prima puntata del dossier sulla Giornata mondiale dell'interdipendenza è stata pubblicata ieri (Il destino comune dell'umanità), la prossima sarà in rete domani sotto il titolo Il pianeta ha la febbre.

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