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mercoledì 06 novembre 2024
 
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Un morto e un ferito tra gli ultrà. Criminalità e calcio, una storia non nata ieri

05/09/2024  La morte di Antonio Bellocco e il ferimento e il fermo di Andrea Beretta, capo ultrà della curva nord dell'Inter sono solo l'ultimo episodio clamoroso. Ma la storia dei rapporti tra tifo organizzato, interessi opachi e criminalità è lunga e complessa: un iceberg, profondo quanto l'Italia di cui, quando esplode la violenza, emerge la punta

L’ultimo episodio, quello clamoroso, avviene la mattina del 4 settembre 2024 a Cernusco sul Naviglio, hinterland milanese, nel parcheggio della palestra di boxe "Testudo" frequentata da diversi ultrà della curva interista, tra loro Andrea Beretta, 49enne storico capo del tifo organizzati interista, e Antonio Bellocco, trentaseienne che si era avvicinato alla curva nerazzurra dopo la morte di Vittorio Boiocchi - storico, pregiudicato, capo dei "Boys" della curva nord di San Siro ucciso in un agguato nel 2022  - e che portava il cognome pesantissimo di una nota famiglia di ‘ndrangheta, reduce in prima persona da trascorsi penali, tra cui una condanna definitiva a 9 anni per associazione mafiosa, nell’ambito del processo passato alle cronache come Vento del Nord.

Toccherà agli inquirenti ricostruire che cosa sia accaduto esattamente in quel parcheggio e nell’auto in cui Beretta e Bellocco, si trovavano: quello che si sa è che Beretta, ferito da un colpo d’arma da fuoco, è stato portato in ospedale in stato di fermo, accusato dell’accoltellamento a morte dell’altro. I due, stando alle foto postate sui social da un altro capo ultrà, erano “amici” e insieme avevano giocato una partita a calcetto giusto la sera prima che tutto precipitasse in atti che fanno pensare a qualcosa di più complesso di una lite degenerata, cosa che si evince anche dal fatto cdel caso si occupano Sara Ombra e Paolo Storari, magistrati della Direzione distrettuale antimafia, ufficio che già in passato si era occupato di curve in relazione all’omicidio di Boiocchi. 

Che il rapporto tra mafie e interessi connessi al pallone, compresi i lati opachi delle tifoserie organizzate, non sia solo una questione di incontri casuali attorno alla comune passione per partite e colori sociali del resto non è da tempo un mistero, anche se il tema fa notizia solo nei momenti clamorosi: si pensi all’omicidio nel 2019 di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, ultras degli irriducibili della curva laziale per cui è in corso a Roma il processo di primo grado a carico di Raul Esteban Calderon imputato per l'omicidio e per cui si ipotizza un contesto di narcotraffico. Stesso ambito, quello degli stupefacenti, costato una condanna definitiva nel 2023 a sei anni e quattro mesi a Luca Lucci, ultrà rossonero, prova che i derby non si giochino solo sul campo di calcio. 

Giusto alle Curve pericolose e alle loro infiltrazioni mafiose è dedicato l’ultimo numero di Lavialibera, rivista dell’associazione Libera, che ricostruisce i rapporti tra tifo organizzato, mafie ed estremismo di destra, soffermandosi su alcune grandi città (Roma, Milano, Torino, Napoli e Palermo). «Faccio 80mila euro al mese con biglietti e parcheggi», «La mentalità (degli ultras) non me ne frega un c… la mia vita gira intorno al guadagno», dice in intercettazioni riportate dal dossier uscito due giorni fa, tempestivo al limite del profetico, Andrea Beretta: parole che, a posteriori, illuminano il contesto.

«A inquinare il calcio è stato» scrive don Luigi Ciotti, presidente di Libera, nell’editoriale, «prima della criminalità organizzata, un capitalismo senza ideali, che per massimizzare i profitti è disposto a mettere tutto il resto tra parentesi, a partire dall’etica. Ecco allora gli ingaggi smodati offerti ai giocatori per costruire squadre invincibili non tanto sul campo, quanto nelle vendite di prodotti a marchio e nelle sponsorizzazioni. Ecco i bilanci truccati, i contratti conclusi a cifre astronomiche per la vendita dei car- tellini, i giri illegali di scommesse, le specu- lazioni sugli stadi, le pubblicità concesse anche a settori pericolosi, primo fra tutti il gioco d’azzardo». Questo genere di pubblicità sarebbe vietato in Italia ma sono note ed evidenti le modalità con cui il divieto viene legalmente aggirato. 

Quando nel 2012 uscì il libro Football clan, titolo provocatorio, per parlare di liaison più o meno inconfessabili tra calcio e criminalità organizzata, il magistrato Raffaele Cantone, che lo aveva firmato con il giornalista Gianluca De Feo, per accendere un riflettore su un tema noto ma poco frequentato in pubblico, ci raccontò che le presentazioni andavano più o meno deserte: lo sport e quelli che lo amavano preferivano che nessuno rovinasse loro il giocattolo, aprendolo per vedere che cosa ci fosse dentro.

Il risultato di quella rimozione lo vediamo oggi, dopo che inchieste assortite hanno lambito il pallone da Sud a Nord: inchieste dalle quali abbiamo imparato che non sono manifestazioni di ruvido affetto ma di intimidazione bella e buona quelle che chiamano le squadre a umiliarsi sotto le curve, per omaggiarle o per sottostare alle loro rimostranze quasi “a rapporto”: sulla carta sono manifestazioni vietate dai regolamenti sportivi, ma non è che vengano più di tanto sanzionate dalla giustizia sportiva.

Non per caso, fin dai primi periodi del suo insediamento Giovanni Melillo, procuratore Nazionale Antimafia e antiterrorismo dal 2022, ha destinato settore “calcistico” le energie ad hoc di una parte del suo ufficio, ritenendo che il tema il tema delle connessioni pericolose e delle relazioni inconfessabili tra curve e criminalità è considerato tutt’altro che marginale anzi meritevole di un monitoraggio continuo, come del resto evidenziano le riflessioni che lo stesso procuratore aveva espresso nell’intervista sul tema uscita sul numero 44/2023 Famiglia Cristiana, in cui spiegava le ragioni e i rischi delle mafie nel pallone e che potete leggere a questo link.

Accanto alle infiltrazioni mafiose sono oggetto di interesse della Dna i flirt con gruppi estremisti, filone anch'esso non secondario, se si pensa che i Boys SAN della Curva Nord interista, di cui Boiocchi era il leader erano nati nel 1969 e vedevano tra i fondatori Gilberto Cavallini, l'ex Nar (Nuclei armati rivolouzionari) condannato all'ergastolo in primo e secondo grado per la strage di Bologna e che attende ora l'esito del ricorso in Cassazione. 

La storia delle indagini italiane del resto insegna che è già capitato che tra i beni confiscati ai clan ci siano state anche società sportive, magari di profilo minore - il caso più noto fu molti anni fa quello del Quarto, squadra minore sequestrata e poi confiscata al clan Polverino, in Campania -, utili però a creare consensi e contatti finalizzati ad altri affari.

Di sicuro non per caso nel settembre scorso il Dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici dell’Università di Milano, aveva dedicato un convegno a Mafia e sport, coordinato da Nando Dalla Chiesa, in cui il campo si allargava ad altre discipline, perché non di solo calcio vive la criminalità organizzata: tre giorni, in cui si sono analizzati diversi aspetti, da cui si evinceva che l’infiltrazione è possibile in molti modi: nella frammentazione dei subappalti collegati ai grandi eventi, nel riciclaggio attraverso sponsorizzazioni in eventi più piccoli, nelle scommesse anche legali – luogo ideale di riciclaggio in cui le persone si rovinano e il banco vince sempre -; nel mercato nero del doping; nel tifo organizzato dove troppe volte tra passione e criminalità c’è un confine labile, di cui fanno le spese gli appassionati veri “estromessi” qualche volta anche in senso proprio dal gioco cui hanno diritto, come accadde il 31 ottobre del 2022 quando alla notizia della morte di Boiocchi  gli ultrà dell’Inter pretesero dagli altri tifosi, quelli che vanno allo stadio solo per passione e pagano il biglietto, che si svuotasse la curva nord di San Siro in segno di lutto (foto).

 
 
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