Dori Ghezzi con Cristiano De André
In una villa in Sardegna con una vista mozzafiato sul mare, capitava spesso che il padrone di casa, Fabrizio De André, invitasse degli amici che a un certo punto si esibivano su un piccolo palco appositamente allestito. Dalla porta socchiusa della sua cameretta, un bambino osservava tutto: vide così Paolo Villaggio che improvvisava la gag delle polpette che poi avrebbe ripetuto in Fantozzi; vide un giovanissimo Francesco De Gregori in pigiama scrivere canzoni sul divano con suo papà; e vide Ugo Tognazzi in versione pasticciere presentarsi con una torta che lasciò a bocca aperta un altro invitato, il regista Marco Ferreri, il quale decise di inserirla nel film che di lì a poco avrebbe girato, La grande abbuffata.
Quel bambino era Cristiano De André, che ci risponde proprio da quella villa dove da qualche tempo è tornato a vivere. L’occasione è l’uscita al cinema (solo il 25, 26 e 27 ottobre, dopo la presentazione alla Mostra del cinema di Venezia) di De André#De André, un documentario che, alternando i ricordi di Cristiano alle immagini del suo ultimo tour di in cui ha rivisitato l’album Storia di un impiegato di Fabrizio, compone un commovente mosaico del rapporto tormentato tra un padre e un figlio. In quell’album, uscito nel 1973, il più “politico” mai inciso da De André, c’è una canzone che si distacca dalle altre, Verranno a chiederci del nostro amore. «Erano le 5 del mattino», ricorda Cristiano. «Mio padre venne a svegliare mia madre perché l’aveva appena finita e voleva fargliela sentire. Mi alzai dal letto anche io e dallo spioncino vidi lui che cantava e lei con le lacrime agli occhi. Era una canzone su un amore finito e papà e mamma stavano davvero per lasciarsi. Fu come un suo regalo di addio».
Tutti quegli artisti che frequentavano la villa arricchirono la formazione del piccolo Cristiano, ma contribuirono a privarlo di un padre che facesse anche cose normali con lui. «Papà e i suoi amici erano dei geni convinti di dover lasciare un segno nel periodo che stavano vivendo e per questa specie di missione non gli restava tanto tempo da dedicare agli affetti familiari. Io questa cosa l’ho capita molto dopo: in quegli anni mi mancava un padre che mi riempisse di attenzioni».