(Foto Ansa: qui sopra: operatori delle Croce rossa al lavoro a Madrid contro il Covid-19. In copertina: Francesco Rocca, presidente della Federazione internazionale delle Croce rossa e della Mezzaluna rossa)
«Nessuno di noi sarà al sicuro finché ognuno di noi non sarà al sicuro». In questa pandemia globale, tragicamente democratica, che non conosce confini, bisogna camminare tutti insieme, mettere da parte gli individualismi. In altre parole, nessuno si salva da solo. Lo ha ricordato Francesco Rocca, presidente della Croce rossa italiana e della Federazione internazionale della Croce rossa e Mezzaluna rossa, in una conferenza via Web con la stampa internazionale per fare il punto sulla situazione del coronavirus nel mondo e sulla risposta dell’organizzazione umanitaria, che fin dall’inizio dell’emergenza è in prima linea - anzi, in seconda linea dopo i Governi nazionali e le istituzioni - nella lotta all’infezione pandemica. Sul fronte italiano, prima di tutto, ma anche in tutti gli altri Paesi del mondo dove l’organizzazione è presente con i suoi operatori e volontari, impegnandosi in accordo e collaborazione con gli attori locali in ogni singola realtà.
Rocca guarda con particolare preoccupazione alle regioni più vulnerabili, alla situazione drammatica, fortemente a rischio di quelle zone dove l’isolamento e anche il minimo distanziamento sociale non sono immaginabili: aree segnate da sovraffollamento, come le baraccopoli, le favelas, le grandi periferie urbane dove le comunità vivono ammassate, gli insediamenti precari dei migranti, i campi per profughi e rifugiati.
In questi insediamenti, già in condizioni di estrema precarietà, l’arrivo del Covid-19 provocherebbe in breve tempo una catastrofe umanitaria. Nei campi profughi di Cox’s bazar, in Bangladesh (dove sono ospitati i Rohingya in fuga dal Myanmar) la Croce rossa sta lavorando per prevenire il contagio: «Abbiamo creato delle aree di isolamento per i malati di Covid, abbiamo implementato le nostre attività di fornitura dell’acqua potabile, assicurato la disponibilità di kit igienico-sanitari per garantire la pulizia». E poi c’è il massiccio intervento di sostegno in Venezuela, dove la situazione socio-politica è estremamente complessa.
«Stiamo inoltre lavorando in Siria a stretto contatto con la Mezzaluna rossa siriana per essere presenti sul campo, fornendo dispostivi di protezione, ambulanze e altri servizi di base. In questo Paese, flagellato ormai da quasi un decennio di guerra, prima dell’emergenza pandemica erano 6 milioni le persone assistite che vivevano nell'insicurezza alimentare, si stima che a causa della crisi economica legata al Covid-19 ora potrebbero arrivare tra i 9 e i 10 milioni». Uno scenario drammatico: i team dell'organizzazione già stanno chiedendo ai cittadini di condividere con i loro vicino gli alimenti o di dividere il cibo che viene distribuito.
Una delle preoccupazioni più grandi riguarda ovviamente l’Africa, dove I sistemi sanitari sono fragilissimi ed è enormemente difficile trovare aree di isolamento per i malati Covid. «Dobbiamo rafforzare la risposta comunitaria nei Paesi con minori risorse per evitare che la pandemia diventi un disasto ancora più grande».Ma in Africa non mancano anche segni di speranza: «In Somaliland un team della Mezzaluna rossa che era stato addestrato per rispondere al contagio attraverso metodi di sorveglianza e controllo su base comunitaria, sono riusciti ad individiare presto il primo caso di Covid-19».
Il presidente della Croce rossa non nasconde l'emozione nel ricordare il sacrificio di molti operatori e volontari dell'organizzazione impegnati in questa tragedia. «In Italia purtroppo ho perso dei volontari, ho perso membri del nostro staff. Al momento abbiamo più di 250 volontari sottoposti a isolamento perché risultati positivi al Covid-19, sei di loro si trovano terapia intensiva. Proprio poco fa ho ricevuto un messaggio dalla moglie di uno dei nostri colleghi in rianimazione, perché noi siamo in contatto con le famiglie. Il virus non risparmia nessuno. Ed essere in prima linea espone i nostri operati al rischio di contagio. E' davvero una sofferenza. A livello personale, ammetto che all'inizio per me è stato devastante, forse sono stato tra quelli che avevano bisogno di supporto psicologico
per trovare la forza davanti a colleghi, operatori e volontari, impegnati nelle ambulanze per fare il loro dovere, che è quello di salvare le vite. Spero con tutto il cuore di non dover mai più affrontare una tragedia del genere nella mia vita, perché il peso da portare sulle spalle è davvero enorme, a volte insopportabile: parlare con i familiari di un volontario che è morto, che ha sacrificato la sua vita e che lo ho fatto gratuitamente, senza ricevere uno stipendio. E allora hai il dovere di prenderti cura della sua famiglia, dei figli che ha lasciato. Purtroppo questo accade non solo in Italia, ma in tutti i Paesi colpiti dalla pandemia».
E un'ultima riflessione sul futuro, sulla lezione che da questa tragedia globale dovremmo trarre come esseri umani e come comunità: «Come operatore umanitario devo essere sempre ottimista e sono sicuro che usciremo da questo terribile incubo. Purtroppo però penso che non abbiamo ancora visto la parte peggiore, più dura, della lezione che dobbiamo apprendere, in termini di responsabilità dei leader politici, in termini di problemi sociali che rappresentano la pandemia dentro la pandemia, in termini di accesso ai sistemi sanitari in molte parti del mondo. Ad oggi posso dire che una lezione è chiara: dobbiamo parlare tutti con una sola voce, dobbiamo dare le risposte che la gente chiede in modo chiaro con l’impegno e il coinvolgimento delle comunità. E le decisioni politiche devono essere prese sulla base delle informazioni scientifiche, con bilanciamento tra gli interessi economici e i diritti umani. Iin un momento in cui siamo così interconnessi nel mondo, c’è bisogno di solidarietà, di aiuto vicendevole. E allora, oggi più che mai è attuale il motto che ispira la Croce rossa: “Siamo tutti fratelli”».