Per le strade di Habana Vieja, la città vecchia, dichiarata Patrimonio dell'umanità dell'Unesco, piccoli commercianti, gestori di bar e di chioschi, venditori di gadget, tassisti, artisti attendono le novità che lo storico disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti porterà presto nell'isola. Nel cuore della capitale, si vive soprattutto di turismo, l'economia gira intorno alle vacanze dei viaggiatori in arrivo da tutto il mondo.
Già da anni a Cuba è in atto un cambiamento. Il modello socialista ha cominciato a essere eroso da una serie di riforme volute dal presidente Raul Castro. A partire proprio dal settore del turismo: l'apertura all'iniziativa privata ha permesso l'avvio di nuove attività relativamente redditizie - rispetto alla media di chi lavora per lo Stato -, dalla nascita delle "case particular" (bed & breakfast o camere in affitto nelle abitazioni dei cubani), al proliferare di guide turistiche, agenzie di viaggio, autisti privati.
Dall'inizio del 2014 è partita la privatizzazione dei tassisti su tutta l'isola (in un primo tempo avviata solo a L'Avana e a Varadero, una delle località turistiche più gettonate). Da alcuni anni Castro ha aperto all'ingresso di capitali stranieri e annunciato la lenta ma progressiva scomparsa della "libreta", base del sistema economico cubano, la tessera annonaria introdotta nel 1962 con la quale tutti i cubani possono acquistare quote razionate di beni di prima necessità a prezzi calmierati.
Dal 2008 è stato tolto il bando alla vendita di apparecchi elettronici come computer e telefoni cellulari. E poi l'agognata riforma migratoria: lo Stato ha esteso a tutti i cubani (tranne i dissidenti politici) la possibilità di chiedere e ottenere il passaporto. Un'apertura epocale, certo. Ma di fatto molto più teorica che pratica: per andare all'estero, infatti, serve comunque un visto. E ottenerlo, per gran parte dei cubani, resta un miraggio. Così come per la maggioranza dei cittadini viaggiare all'estero resta un lusso inarrivabile con uno stipendio medio di più o meno 15 euro al mese. Lo stesso discorso vale per l'acquisto di un'automobile: a poco serve la liberalizzazione del mercato se un cubano medio non può permettersi una macchina di proprietà.
Certo è che l'apertura alle attività in proprio, dietro licenza dello Stato, ha contribuito a modificare la mentalità di una larga fetta di cubani, soprattutto giovani, sempre più insofferenti allo statalismo. «Io non sono andato all'università, ho smesso di studiare presto e mi sono messo a fare l'autista per i turisti», racconta un ragazzo di 27 anni di L'Avana con lo sguardo serio e le idee ben chiare, «il mio lavoro dipende interamente da me e dalla mia intraprendenza, non ho dei ricavi assicurati». Suo padre, funzionario statale in pensione, in passato lavorò in quella che era ancora Unione sovietica. Suo fratello da anni è espatriato a Miami. Lui preferisce rimanere a Cuba e vedere come girano gli affari. Ascolta la musica di una band cubana che parla di libertà. E dice: «Mia sorella si è laureata in Economia, è stata la più brava del suo corso. Eppure, lei come dipendente statale ha uno stipendio bassissimo rispetto a quello che guadagno io con la mia attività».
Le misure previste dalla svolta nei rapporti fra Washington e L'Avana avranno delle ricadute fondamentali sull'economia e la società cubane: come la possibilità di usare carte di credito americane, l'esportazione dagli Usa di alcuni beni e servizi e l'importazione da Cuba di vari prodotti fino a un massimo di 400 dollari, l'aumento del livello delle rimesse, lo sviluppo delle telecomunicazioni commerciali e di servizi Internet più liberi.
Nel discorso con il quale ha annunciato l'avvio del dialogo con l'Avana, con forte pragmatismo Barack Obama ha puntualizzato: «Non mi aspetto che i cambiamenti che sto annunciando oggi possano cambiare nel giro di una notte la società cubana». Intanto, il presidente Usa ha annunciato che Cuba sarà rimossa dalla "lista nera" dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo e ha dato il mandato al segretario di Stato John Kerry di avviare immediatamente negoziati con l'Avana. Kerry è pronto a partire: se tutto andrà secondo le previsioni, sarà il primo segretario di Stato americano a mettere piede sul territorio cubano in sessant'anni. Una cosa è certa: per Cuba, e per le Americhe, una nuova epoca è già cominciata.