Pratica del limite, domanda di essenzialità, conquista di sé stessi, crescita spirituale, benessere mentale, risanamento fisico. Non mortificazione o penitenza: il digiuno, secondo padre Antonio Gentili è piuttosto una forma di purificazione, un antidoto all’intossicazione generata dall’ingordigia che inghiotte sempre di più la nostra epoca.
Frate barnabita, padre Antonio organizza nel convento di Campello sul Clitunno settimane di digiuno e meditazione ed è autore dei volumi A pane e acqua. Pratica e spiritualità del digiuno (Ancora, 160 pagg. 6,50 euro) e 8 digiuni per vivere meglio… e salvare il Pianeta (Ancora, 96 pagg., 6,80 euro). Otto, e non uno, perché il digiuno proposto dal barnabita (ordine religioso fondato nel 1535 dal medico Antonio Maria Zaccaria) non si limita al cibo: c’è anche il digiuno verbale, il digiuno informatico, quello visivo, uditivo, anticonsumista, ludico e quello dalla fretta. «Solo smettendola di incorporare porcherie di ogni genere non solo commestibili ma anche culturali e spirituali», scrive lo psicoterapeuta Claudio Risé nella prefazione del libro, «possiamo recuperare equilibrio, tranquillità e benessere».
Viviamo in un’epoca segnata da un paradosso: «L’uomo si è sempre scontrato con il problema della fame, ma solo da pochi decenni sta scontrandosi con il problema di avere troppo da mangiare». Non si è mai verificata nella storia umana una produzione così vasta di alimenti, eppure la morte per fame e denutrizione convive con i danni dell’obesità e uno spreco impressionante di vivande: «Cresce la quantità di cibo, ma non tutti ne usufruiscono, mentre i Paesi ricchi soffrono di malattie tipiche da sovralimentazione». L’ipertensione, ad esempio, dal 1990 al 2010 ha registrato un’allarmante crescita del 27 per cento. Si stima che oggi nel mondo un adulto su tre ne soffra, mentre sono 1,4 miliardi le persone in sovrappeso a fronte di 870 milioni di denutriti. «Quindi, per ogni essere umano denutrito ve ne sono due che mangiano in eccesso».
Il digiuno diventa allora, prima di tutto una pratica salutare. Non a caso Giovanni Paolo II scriveva: «Astenersi dal mangiare o comunque sottoporsi a una disciplina restrittiva risponde a diversi bisogni dell’esistenza umana. È in gioco innanzitutto la tutela della salute».
D’altra parte la sovralimentazione è un problema che grava non solo sull’uomo, ma sull’intero ecosistema: «La ricerca di una produzione alimentare più abbondante e protetica», osservava José Graziano da Silva, direttore della Fao, alla Seconda conferenza sulla nutrizione del 2014, «ha messo grande pressione sulle risorse naturali. Esaurimento delle forniture di acqua dolce, sconfinamento delle foreste, riduzione degli stock ittici e della biodiversità, sistemi di allevamento intensivi e sprechi massicci sono insostenibili». A fronte di tale consumo, un terzo degli alimenti prodotti nel mondo viene gettato: in Europa lo spreco raggiunge 87 milioni di tonnellate, di cui 5,5 in Italia. Si tratta di viveri che potrebbero sfamare per quattro anni circa 870 milioni di persone che oggi soffrono la fame.
Insomma, mangiamo troppo e mangiamo male, occorre passare allora dalla “gastromania” alla “cibosofia” e il migliore digiuno avviene mangiando: «E infatti la norma non è l’astensione, ma la regolata assunzione, ovvero una saggia nutrizione». «Più che privarsi di alcune forme di nutrimento per un periodo lungo, è utile controllare i propri stimoli per periodi igienici, che purificano l’organismo», conferma Giuseppe Fatati, direttore del reparto di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione clinica dell’ospedale di Terni e presidente della Fondazione Adi (Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica).
Niente lunghe astensioni dal cibo, che hanno più del fanatico che dell’ascetico, quindi: il digiuno ideale è quello in cui si assume un pasto al giorno, intorno alle tre del pomeriggio. «In alternativa, si può scegliere di nutrirsi solo di pane e acqua o di frutta», continua padre Gentili. «Non dimentichiamo che il cibo è la prima medicina. Il digiuno rappresenta quindi una pausa, che serve a ricostruire l’equilibrio perduto».
Ma che cosa succede al nostro corpo quando smettiamo di assumere cibo? «È stato concepito come un organismo in grado di adattarsi e superare i periodi di crisi», spiega Fatati, «che possono essere sia quelli in cui gli viene impedito di alimentarsi, sia quelli in cui si mangia troppo». Paradossalmente, quindi, smettere di mangiare non fa affatto dimagrire: «Il digiuno totale sottopone l’organismo a uno stress, ma poi si verifica un adattamento verso il basso della spesa calorica». Insomma quando non si mangia l’organismo consuma di meno. «Catabolizziamo quello che abbiamo, sia le proteine sia il tessuto adiposo». Di fatto, più si va avanti più si riduce il bisogno di mangiare, e questo comporta gravi rischi: «Il digiuno prolungato e ripetuto può essere dannoso, perché la carenza di zuccheri riduce il senso di fame portando all’anoressia».
Di fatto, un essere umano può resistere senza mangiare anche due mesi, mentre senza bere non si può andare oltre un paio di settimane. Secondo Fatati, tuttavia, non bisognerebbe affatto digiunare, almeno nell’accezione tradizionale: «Ogni volta che salto un pasto perdo la sincronizzazione e aumento la sensazione di fame, mentre mangiare poco e spesso impegna di meno l’organismo. La migliore forma di digiuno è consumare un pasto a metà giornata». La cosa più dannosa, invece, è digiunare solo di giorno: «Chi mangia di notte dorme peggio, ha il sonno disturbato e un aumento di glicemia con conseguente rischio di obesità e diabete».
Ma il sano digiuno resta la moderazione e la capacità di dominare i propri stimoli: «Non bisogna smettere di mangiare, ma riuscire ad alzarsi da tavola con ancora un po’ di fame». Ma come si fa a capire quando è venuto il momento di fermarsi? «Abbiamo un ottimo strumento di misura: le nostre mani. Non dovremmo mangiare nulla che sia più grande del nostro pugno». Che corrisponde, più o meno, a 1.400-1.600 calorie al giorno. Per il resto, è importante non gettare la buccia della frutta, che è ricca di fibre, preferire le farine integrali a quelle raffinate, assumere molta verdura cruda. «Il digiuno più utile è quello dagli alcolici e dai dolci, a cui bisognerebbe rinunciare – quello sì – anche per periodi prolungati». Evitare la ripetitività, variando il più possibile la propria alimentazione: «Io, ad esempio, digiuno periodicamente da determinati cibi, anche per capire quanto ne sono diventato dipendente». E quando si mangia, masticare a lungo: «Il senso di sazietà è dovuto alla masticazione», spiega Fatati. «Ricordiamoci che a tavola non si invecchia e si recupera salute. Dobbiamo passare dalla quantità alla qualità, sentire quello che mettiamo in bocca, non ingoiare ma assaporare». Perché è soprattutto dalla fretta, che bisogna digiunare.