Cari amici lettori, nell’udienza concessa sabato 17 settembre ai pellegrini delle diocesi di Alessandria e di Norcia-Spoleto, papa Francesco ha offerto diversi spunti di riflessione, che possono essere utile oggetto di meditazione all’inizio di questo anno pastorale. Papa Bergoglio si è ispirato alla figura di san Pio V, pontefice del Cinquecento originario proprio di Alessandria, oggi ricordato soprattutto per il Messale “nato” dal Concilio di Trento, quello in uso fino al Vaticano II. Francesco ha riletto la figura di Pio V, “eletto” da alcuni cristiani come vessillo di una liturgia di altri tempi (e di un modello di Chiesa tradizionalista), focalizzandosi invece sulla figura di riformatore del suo tempo: perciò, ha detto, non possiamo ridurlo «a un ricordo nostalgico, a una memoria imbalsamata».
Ne ha evidenziato così l’eredità viva e vitale per oggi. San Pio V, ha detto il Papa, ci insegna a «essere cercatori della verità»: in concreto, di Cristo, che è la Verità, «non solo universale ma anche comunitario e personale»: e questa ricerca della verità, ha spiegato, passa attraverso un discernimento alla luce della Parola di Dio. Ha così delineato un “ritratto” di Chiesa commentando e attualizzando il sommario degli Atti degli apostoli (2,42), che riassume in quattro punti la vita della comunità cristiana. È un “sommario” che faremmo bene a riprendere all’inizio di questo anno per curare le fondamenta della vita cristiana: l’unità intorno all’insegnamento degli apostoli (la dottrina), la vita comunitaria («vivere in comunione, non in guerra fra noi»), l’Eucaristia («vivere eucaristicamente, spezzare il pane»), la preghiera.
Sembrano quattro cose ovvie, ma per tanti non lo sono affatto, soprattutto per le generazioni più giovani ma anche per molti adulti: penso qui in particolare alla liturgia e alla preghiera. Come afferma Armando Matteo, nel suo libro La Chiesa che verrà (San Paolo, 2021), c’è bisogno non solo di preghiera (o di preghiere), ma di iniziazione all’esperienza («gesto») della preghiera, che per tanti non è più l’esperienza di fede “respirata” in famiglia; così come c’è bisogno di ancorare più profondamente la vita (personale ma anche comunitaria) intorno alla Parola di Dio. Questo, però, ha bisogno di un lavoro in profondità, con un’offerta abbondante (lectio in primis), capace di aiutare a rileggere la vita alla luce delle Scritture; come c’è bisogno di “iniziazione” e formazione liturgica, dato che i molti simboli di cui è fatta la celebrazione eucaristica ai più “dicono” poco o nulla. Se la missione evangelizzatrice della Chiesa, che dovrebbe essere la “conseguenza” della liturgia e della preghiera, un po’ soffre, è perché questi fondamenti della vita della Chiesa hanno bisogno di molta cura e di un cammino paziente. Solo questo ancoraggio solido, costruito pian piano nel tempo, renderà anche possibile l’accoglienza dei cambiamenti necessari, la «conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» di cui ha parlato poco dopo Francesco a proposito della costituzione di unità pastorali nelle diocesi accolte in udienza.