Sono mamma di due ragazze che frequentano il primo e il terzo anno delle scuole superiori. Qualche settimana fa, nella loro scuola è stato portato all’attenzione della preside prima, e dei genitori coinvolti dopo, un caso di cyberbullismo effettuato attraverso messaggi offensivi verso una studentessa. Sono rimasta molto turbata da questa esperienza e continuo a pensare che potrebbe capitare anche alle mie figlie di esserne vittime. Che cosa mi consiglia e come ci si può contrapporre a questa tendenza?
FRANCA R., Treviso
Il cyberbullismo è un fenomeno sociale e deviante che negli ultimi anni è divenuto un importante e centrale oggetto di studio da parte degli esperti in psicologia sociale, giuridica, clinica, prevalentemente nell’ambito dell’età evolutiva, a causa di numerosi eventi tragici che hanno dominato la cronaca nel nostro Paese. Il termine viene prevalentemente utilizzato per riferirsi a tutti quei fenomeni di attacco, di prepotenza, aggressività o violenza verbale sistematica, perpetrati attraverso l’uso dei social network e, in generale, della Rete.
Colui o coloro che commettono una forma di cyberbullismo impiegano in modo offensivo, vessatorio, oppressivo e continuativo nel tempo, mail, post o materiale fotografico, arrecando un danno psicologico alla vittima. Questi comportamenti, nella maggior parte dei casi, si configurano come reati di carattere civile, penale e come violazioni del codice della privacy.
Tale modalità di atteggiamento sociale deviato è relativamente recente, poiché ha potuto manifestarsi a partire dalla nascita e diffusione di Internet. Ma il fenomeno del bullismo è certamente precedente allo sviluppo della Rete. L’avvento delle nuove tecnologie nella nostra quotidianità ha modificato significativamente le nostre abitudini, il nostro modo di vivere, il nostro modo di pensare, di agire e di relazionarci, ma non sempre in senso positivo. Per alcuni, questi strumenti divengono un’opportunità per esprimere la propria aggressività, le proprie insoddisfazioni, i propri sentimenti più bassi, la completa assenza di valori positivi, fino all’espressione di vere e proprie condotte antisociali, favoriti dalla possibilità di individuare bersagli facili e incapaci di difendersi. Il bullo che utilizza i nuovi media è un individuo che, indossando una sorta di maschera virtuale, mette in atto comportamenti aggressivi, pensando di essere invisibile e allo stesso tempo vivendo l’illusione che la sua vittima sia un’entità anonima e priva di emozioni.
Le scienze psicologiche hanno attribuito a questa distanza sociale tra il bullo e il suo bersaglio la causa dell’atto di cyberbullismo. In queste settimane, sta per essere approvata una legge al vaglio delle camere per la tutela delle vittime di cyberbullismo. Da molti viene descritta come una norma che potrà permettere alle autorità di intervenire nei casi in cui venga commesso e riconosciuto il reato verso un individuo, ma che non tiene conto a sufficienza della necessità di prevenire questo comportamento, molto pericoloso e dilagante. Chi studia da tempo il fenomeno, sostiene che l’investimento più produttivo è quello di intervenire attraverso l’educazione digitale. Con la diffusione di Internet, infatti, alle nuove generazioni è stato messo nelle mani uno strumento dotato di grosse potenzialità, ma che, allo stesso tempo, è un “portatore sano” di innumerevoli malattie per l’individuo e per la società.
Ai nostri figli, quindi, dovrebbe essere insegnato quali e quanti possano essere i pericoli della nuova società digitale. Ognuno di noi deve acquisire la consapevolezza che, per pubblicare un video, postare un contenuto o scrivere un giudizio, è necessaria la stessa prudenza e lo stesso senso di responsabilità che ci guidano nella vita reale, poiché la vita dei social non è una realtà virtuale. Nello stesso tempo, si rende sempre più necessaria anche una rieducazione morale e dei sentimenti, poiché la violenza che viene a volte trasmessa attraverso i social è nient’altro che la violenza che caratterizza sempre di più le nuove generazioni, che usano la Rete per potenziare, amplificare e diffondere il loro messaggio. Non basta, dunque, il meccanismo repressivo che interverrebbe soltanto dopo che il danno è già stato fatto, ma è fondamentale un percorso complesso, che vada nella direzione della promozione del rispetto della dignità dell’altro come valore irrinunciabile per l’essere umano.