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venerdì 15 novembre 2024
 
Persecuzioni digitali
 

Cyberbullismo, serve un'alleanza educativa

07/04/2016  È notizia di oggi che un imprenditore veneto non ha retto alla diffamazione tramite Facebook e si è tolto la vita. Non solo: una ricerca di Skuola.net e AdoleScienza.it su 7000 studenti di 11 scuole superiori rivela che una vittima su dieci tenta di togliersi la vita. Spesso mancano strumenti di ascolto, anche anonimo, che consentirebbero di intercettare le sofferenze provocate dalle vessazioni prima che evolvano in situazioni irreversibili.

Tim Berners Lee, uno dei padri di Internet ha affermato che se dovesse riscrivere l’acronimo che identifica la Rete oggi non sceglierebbe più le tre “W” del world wide web (la grande ragnatela mondiale) quanto piuttosto tre “G”, iniziali di grande grafo gigante. Per "grafo" lui intende la rappresentazione delle relazioni create dalla Rete, la serie di connessioni tra persone. Ed è proprio tra i rapporti rinforzati ed estesi dagli schermi digitali che spesso si annida uno dei fenomeni più nocivi per giovani e purtroppo anche per adulti: la vessazione o persecuzione digitale.

Ma non chiamiamolo soltanto "cyberbullismo", per favore, perché non sempre c’è il singolo persecutore contro la vittima fragile. Il fenomeno è più esteso e sfaccettato e non transita solo attraverso la Rete ma anche tramite i sistemi di messaggistica e le piattaforme di videogiochi connessi tramite Internet. È recente la notizia di un imprenditore veneto che, per rimanere a quanto è stato diffuso dagli organi di stampa, non ha retto alla pressione della diffamazione tramite Facebook e si è tolto la vita. 

Le caratteristiche principali della persecuzione digitale sono: intenzionalità, persistenza nel tempo e disequilibrio tra chi perseguita (uno o molti) e vittime, con la differenza che gli ambienti digitali amplificano con facilità gli atti a fronte di uno sforzo minimo. Una recente ricerca di Skuola.net e AdoleScienza.it su 7000 studenti appartenenti a 11 scuole superiori di tutta Italia ha rivelato che una vittima su dieci ha tentato di togliersi la vita. Il fenomeno è molto diffuso ma non così evidente agli occhi degli adulti, proprio per la sua natura digitale. Spesso mancano strumenti di ascolto, anche anonimo, che consentirebbero di intercettare le sofferenze provocate dalle vessazioni prima che evolvano in situazioni irreversibili. 

L’antidoto più efficace, in questi casi, potrebbe chiamarsi alleanza educativa, ovvero la capacità del mondo dei formatori di creare un tessuto coerente. I percorsi di ascolto e di prevenzione, però, dovrebbero godere di una continuità maggiore in tutti gli ambienti educativi, come un’attenzione costante e non una risposta ad episodi acuti. Attaccare in forma anonima ed estesa un giovane nella fase di costruzione della personalità, che si esprime anche tramite gli schermi digitali, significa sottrargli quel pavimento di relazioni positive che sostengono la sua evoluzione come persona. Se non sempre possiamo scovare i persecutori, ci è comunque sempre consentito di operare su chi è perseguitato.

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