Carissimo don Antonio, ho seguito dibattiti e interviste con persone notoriamente atee – Odifreddi, Flores D’Arcais, Augias, Cacciari, solo per citarne alcune – e devo dire che ho trovato le loro contestazioni utili per rafforzare la mia fede. A parte la loro dirittura morale, penso che queste persone siano in qualche modo più meritevoli di noi – cosiddetti credenti – che il più delle volte trasciniamo una fede smorta, priva di domande, mentre in loro la ricerca della verità è a volte un vero tormento. Certe loro affermazioni lasciano senza fiato, come questa di Ionesco, padre del teatro dell’assurdo: «Io non ho mai fatto altro che urlare a Dio, che continuare a fargli domande anche quando non avevo la minima speranza di una qualsiasi risposta». Negli atei c’è, paradossalmente, qualcosa di profondamente cristiano: l’esigenza di riscoprire il volto autentico di Dio. Jean Guitton diceva che «molte volte un autentico ateo ha un desiderio di Dio più grande di un credente troppo tranquillo».
Mettendo poi in così primo piano la ragione, ci stimolano a far calcolo anche noi della ragione perché la fede non è un credere cieco a cose misteriose. Diceva sant’Agostino: «Una fede che non nasce sul terreno della ragione e della libertà non è vera fede». Inoltre ci fanno prendere coscienza di una grave omissione nella storia del cristianesimo, cioè l’aver dato il massimo rilievo alla divinità di Gesù ma non altrettanto alla sua umanità. Ora, questo “scindere” Gesù in due è una eresia pratica, perché lui è uno e indiviso nella sua umanità e nella sua divinità. Non avendo preso sul serio l’umanità di Gesù abbiamo presentato un cristianesimo disincarnato. Rivolgendosi a persone di convinzioni non religiose ma appartenenti al Movimento dei Focolari, Chiara Lubich ha detto in più occasioni che la loro presenza è importantissima perché, portando i valori umani e mettendo in evidenza Gesù come uomo, ci aiutano a stare con i piedi per terra e a scongiurare il pericolo di cadere in una sorta di angelismo.
Per concludere, credo sia necessario e urgente presentare il vero volto di Dio, un volto autenticamente umano, calato nelle vicende della nostra vita. Il Dio che si annuncia non è credibile se è presente solo nelle nostre parole ma non nella nostra vita, nella nostra capacità di impegnarci in modo disinteressato per l’altro. Diceva Sartre: «Se l’uomo esiste, Dio non può esistere». La critica di Sartre è uno spietato atto d’accusa contro quei credenti che nel loro comportamento non lasciano trasparire i segni dell’amore di Dio, che è accettazione dell’altro e del diverso da sé. Sartre conosce Dio come essere assoluto e come bene assoluto, ma non come amore, forse perché ha incontrato solo uomini religiosi, ma non cristiani capaci di amare.
ROSARIO
Caro Rosario, grazie per questa riflessione. Non si tratta, ovviamente, di fare l’elogio di chi non crede in Dio, ma di riconoscere in queste persone uno stimolo a vivere in modo autentico la nostra fede. Non tutti coloro che si professano atei, poi, sono così limpidi dal punto di vista umano e morale. A volte sono dei veri e propri avversari, perfino persecutori della Chiesa e dei credenti. Quando però si tratta di persone oneste e corrette, il dialogo con loro è particolarmente fruttuoso. Ci fa capire, come sottolinei anche tu, che la nostra non è una fede cieca, non è fideismo. Infatti, con la luce della ragione, partendo dalle cose create, l’uomo può conoscere Dio. Questa capacità deriva dal suo essere creato a immagine di Dio. Tuttavia la ragione è limitata, ed è pure ferita dal peccato. Ha bisogno della luce che viene dalla Rivelazione divina. Qui si arriva alla fede che nella sua essenza, come leggiamo nel Catechismo, «è la risposta dell’uomo a Dio che gli si rivela e gli si dona, apportando nello stesso tempo una luce sovrabbondante all’uomo in cerca del senso ultimo della vita» (n. 26).
Il discorso sulla fede, comunque, non è tanto una questione intellettuale o di conoscenza, ma riguarda tutta la nostra vita. Quello che crediamo deve tradursi in comportamenti concreti, in un’esistenza all’insegna dell’amore che Gesù ci ha insegnato con il suo esempio, dandoci nello stesso tempo la forza di metterlo in pratica mediante il dono dello Spirito Santo, l’amore di Dio riversato nei nostri cuori (cfr. Romani 5,5). A questo proposito mi viene in mente un libro che ho letto molti anni fa e che mi ha spinto a essere un cristiano e un religioso migliore. Si tratta del romanzo Groviglio di vipere dello scrittore francese François Mauriac.
L’epigrafe con cui si apre è illuminante: «Voglio che questo cuore divorato dall’odio e dall’avarizia, questo nemico dei suoi, lo consideriate con pietà nonostante la sua bassezza; voglio che interessi il cuor vostro». Mauriac presenta così il protagonista del romanzo, e prosegue: «Tristi passioni gli nascondono, durante la sua tetra vita, la luce che gli è tanto vicina, sebbene un raggio talvolta lo tocchi, quasi lo bruci. Le sue passioni… e soprattutto i mediocri cristiani che l’osservano e che lui stesso tormenta, gli nascondono questa luce». Qui non si tratta di atei onesti in cerca della verità, ma di ogni persona, comprese quelle peggiori dal punto di vista morale. Mauriac conclude: «Quanti tra noi respingono così il peccatore e lo allontanano da una verità che, attraverso essi, non risplende più! No, non era il denaro che questo avaro amava, non era di vendetta che questo infuriato aveva fame. Il vero oggetto del suo amore lo conoscerete se avrete la forza e il coraggio di stare a sentire quest’uomo fino all’ultima confessione interrotta dalla morte». Non svelo qual è l’oggetto di questo amore, se non per dire che nel cuore di ogni persona c’è questo anelito, lo stesso desiderio di infinito.
(foto in alto: Ansa)