Se lo sapesse papa Francesco – in questi giorni in visita proprio in Cile – chissà… Magari un salto a gustarsi un gelato da “Gigibontà”, a Santiago lo farebbe volentieri. Del resto, dove la trovi una gelateria che propone un prodotto artigianale italiano di alta qualità, ma è gestita da un’associazione di volontariato che dà lavoro (e, con esso, dignità) a ragazzi con problemi, il tutto nella periferia di una grande metropoli?
La storia di Gigibontà è, insieme, un miracolo imprenditoriale, un’avventura di carità e un modo originale di essere “Chiesa in uscita”. Gianpiero Cofano, 42 anni, segretario dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, coordina il progetto dall’Italia: «Siamo partiti nel 2005 in Bolivia», spiega, «grazie alla collaborazione di tre persone: Moris Bertozzi, missionario della Papa Giovanni; Andrea Cinelli, titolare di un’azienda riminese del settore dolciario (la Fugar), e Vittorio Tadei, imprenditore grande amico di don Oreste Benzi, fondatore dell’associazione». Obiettivo: dare un’opportunità di futuro, un lavoro dignitoso, ai ragazzi di strada di La Paz, recuperati grazie al lavoro educativo della comunità.
Detto, fatto. Tadei anticipa i capitali (che poi vengono restituiti gradualmente), la Fugar regala i primi macchinari per partire, la Papa Giovanni ci mette la manodopera. E il miracolo prende corpo, come documenta Cofano: «Con Tadei (che purtroppo ci ha lasciato un anno fa) ci dicevamo che, se fossimo riusciti a sfondare in Bolivia, vendendo gelati a 4.000 metri di altezza, la strada, poi, sarebbe stata in discesa». Il progetto è quanto mai ambizioso: 100 gelaterie nell’arco di pochi anni. Roba da far invidia ai più noti marchi del franchising italiano!
MODELLO MONDIALE
Dalla prima gelateria si passa, nell’arco di poco tempo, a tre. Finché, nel 2008, Moris muore in un incidente stradale. Avrebbe potuto essere il colpo di grazia, invece il progetto continua.
Oggi siamo a quota 13 negozi in cinque Paesi: Bolivia, Cile, Albania, Sierra Leone e Zambia. «E in Africa stiamo pensando a prossime aperture in Senegal, Botswana e Zimbabwe…».
In Cile Gigibontà, registrato nel frattempo come marchio, sbarca nella capitale Santiago nel 2012 e la gelateria decolla secondo un meccanismo ormai collaudato: si attingono i capitali di partenza (che pian piano vengono rifusi), da un fondo ad hoc, mentre la manodopera locale viene formata da tecnici della Fugar, che fornisce poi gli ingredienti-base. Ogni gelateria, insomma, viene aiutata a nascere e, una volta decollata, aiuta altre a partire.
OCCASIONE DI RISCATTO
I giovani che ci lavorano (nella sola Santiago, una decina) hanno, di solito, storie pesanti alle spalle: «Pure in faccia, a volte, portano i segni di un passato difficile». Il lavoro in gelateria permette loro di portare a casa uno stipendio dignitoso («più alto della media locale») e di avere la soddisfazione di proporre un gelato artigianale «premiato con cinque stelle da Tripadvisor». Certo, chiosa Cofano, «i nostri gelati non sono alla portata di tutte le tasche, perché fatti con ingredienti di altissima qualità. Non sono idrogenati, non usiamo grassi vegetali né sostanze chimiche. I prodotti base sono la nocciola o il pistacchio di Bronte». Roba per pochi, dunque? «Non direi. Possiamo a buon diritto chiamare “solidale” la nostra iniziativa», puntualizza, «perché il guadagno dell’impresa è messo a servizio della comunità»: in Bolivia serviva una jeep e, con l’aiuto dei proventi della gelateria, la comunità locale della Papa Giovanni ha potuto comprarla; lo stesso è successo in Zambia, dove di recente è stato acquistato un pullman da 60 posti.
PER PORTARE IL VANGELO
Insegnare un lavoro («ogni anno formiamo un centinaio di giovani che poi trovano posto anche in altri locali e bar») e supportare economicamente l’associazione, però, non esaurisce il senso dell’iniziativa. Che, spiega Cofano, ha un terzo obiettivo, più difficile: la sensibilizzazione, «o – se vogliamo chiamarla con il suo nome – l’evangelizzazione».
«Nelle nostre gelaterie incontriamo tanta gente che mai avremmo potuto incontrare altrimenti. Ai muri dei nostri locali c’è il ritratto di don Oreste, le foto delle nostre case di accoglienza… Capita così che – come avvenuto proprio a Santiago – alcune signore che venivano a mangiare il gelato, incuriosite dalla storia della comunità, si siano rese disponibili a dare una mano, diventando volontarie del comedor, la mensa dei poveri».
Piccoli-grandi miracoli. Come quello di Stefano Magi, responsabile della gelateria di Santiago del Cile. Accolto, in Italia, mentre si trovava in una situazione di bisogno, Stefano, quarantenne, proveniente da una famiglia di ristoratori, ha compiuto, grazie all’aiuto della Papa Giovanni, un suo percorso di riscatto. Invitato a trascorrere un periodo di volontariato in Cile, s’è talmente coinvolto nell’esperienza in gelateria da aver chiesto di spostarsi in Cile. «Dove l’attività va così bene che, a breve, contiamo di aprire altri 3-4 locali nella immensa metropoli».
LA GIOVANNI XXIII IN CILE
Giunta in Cile nel 1994 in risposta alle richieste della Caritas, a partire dal 1998 la Comunità Papa Giovanni XXIII ha iniziato a sviluppare una serie di progetti in collaborazione con lo Stato sudamericano. Principali destinatari sono persone in stato di abbandono, con dipendenze (droga, alcol…) e ragazzi di strada. Nei comuni di Peñalolén, La Florida, Santiago Centro, La Pintana, oltre che nelle città de La Serena, e Valdivia, la Papa Giovanni XXIII gestisce una serie di strutture: 12 fra case famiglia, case di accoglienza e famiglie aperte, una comunità terapeutica, una mensa e due centri diurni.