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sabato 07 settembre 2024
 
 

Da Kasper a Lehmann, le sollecitazioni dei vescovi tedeschi

15/03/2014  La comunione ai divorziati risposati è stato un tema molto discusso durante il pontificato di Benedetto XVI. In particolare sono stati i vescovi della Germania a chiedere a Roma una nuova pastorale per queste persone e norme più elastiche circa l'ammissione all'eucaristia

 La presa di posizione della diocesi di Friburgo sull’eucaristia ai divorziati risposati è solo l’ultimo “strappo” su un tema assai scottante e sul quale, paradossalmente, si è discusso più durante il pontificato di Benedetto XVI rispetto agli anni del dopo Concilio e di papa Wojtyla.

Che si tratti di una questione aperta e, dal punto di vista pastorale, in cima alle preoccupazioni di moltissimi vescovi, è stato lo stesso papa Ratzinger a dirlo quando in due occasioni – il discorso ai preti della diocesi di Aosta nel luglio 2005 e il discorso ai giudici della Rota Romana del 28 gennaio 2006 – ha suggerito che la questione andava approfondita soprattutto in riferimento ad un caso particolare: valutare cioè la nullità di un matrimonio ecclesiastico celebrato senza fede da parte di uno dei due coniugi per quelle persone che in una seconda convivenza tornano a praticare e chiedono di poter ricevere la comunione.

In pratica, come ha sintetizzato il vaticanista Sandro Magister, allo studio c’è «il possibile ricorso a una decisione “in foro interno” di accedere alla comunione, da parte di un cattolico divorziato e risposato, qualora il mancato riconoscimento di nullità del suo precedente matrimonio contrasti con la sua ferma convinzione di coscienza che quel matrimonio era oggettivamente nullo».

Un’apertura che differisce con un documento del 1994 firmato dallo stesso Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede nel quale, ribattendo la posizione della Chiesa, si affermava che senza la nullità del primo matrimonio, non si poteva dare l’eucaristia: «La Chiesa», si legge, «afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla comunione eucaristica».

Le sollecitazioni a rivedere questa norma sono arrivate per lo più dalla Germania. Nel 1993 furono tre vescovi della Renania, tra i quali due teologi di prestigio come Karl Lehmann e Walter Kasper, oggi cardinali e il secondo collega universitario di Ratzinger e grande elettore di Bergoglio all’ultimo Conclave, si dissero favorevoli ad ammettere i divorziati risposati all’eucaristia se dopo un incontro con un sacerdote avessero ritenuto in coscienza di esservi autorizzati.

Qualche anno fa, questa proposta è stata ripresa dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung che ha pubblicato l’appello firmato da 143 teologi tedeschi con il titolo: “Chiesa 2011: una partenza necessaria”.

Il dibattito è tornato in primo piano nel 2005 quando se ne parlò al Sinodo e a far discutere furono ancora le parole del cardinale Kasper: «I divorziati risposati», spiegò il porporato tedesco, «sono un problema pastorale emergente: quello del Sinodo non è il risultato finale, il Sinodo non è concluso, perché dopo le “proposizioni” ci sarà l'esortazione finale. Ogni vescovo, in qualsiasi Paese dell'Occidente sa che questo è un grave problema. Ogni pastore sa di casi in cui sarebbe opportuno trovare soluzioni e lo stesso Papa, durante le sue vacanze in Valle d'Aosta, ha invitato a riflettere su tali casi, questa è anche la mia posizione».

Per Kasper ci sono alcuni casi particolari su cui riflettere: «Se vogliamo rimanere fedeli alle parole di Gesù, possiamo soltanto dire che, quando è stato contratto un matrimonio avente valore sacramentale, fintanto che il coniuge è in vita non può esservi un secondo matrimonio sacramentale riconosciuto dalla Chiesa. Il matrimonio civile di un divorziato oggettivamente è in contraddizione con gli insegnamenti di Gesù», scrisse in un intervento per precisare meglio le sue parole. «Esistono tuttavia casi complessi dal punto di vista pastorale: ad esempio, quando il primo matrimonio, per quanto valido, è stato contratto in maniera superficiale e, alla fine, fallisce, mentre il secondo viene vissuto in modo coscientemente cristiano e risulta felice e armonioso. Alcuni padri della Chiesa greci, in tali situazioni, bensì impossibili in sé, hanno raccomandato di usare indulgenza».

Nel settembre  2011, in occasione del viaggio di Benedetto XVI in Germania, la questione è tornata in primo piano. A intervenire fu monsignor Wilhelm Imkamp, consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che criticò aspramente quei settori della chiesa tedesca che avevano appoggiato la richiesta di riforma avanzata dal presidente tedesco Christian Wulff, il quale nel discorso tenuto a Berlino davanti al Papa, espresse la speranza di un passo avanti della Chiesa: «Milioni di persone che vivono in matrimoni interconfessionali e i milioni di cattolici risposati, ma anche molti altri gruppi aspettano un messaggio di liberazione».
«Se il cristiano cattolico Wulff », replicò Imkamp, «usa il suo incarico politico e le possibilità che questo gli apre per discutere dei suoi problemi personali con e nella chiesa si può parlare senz’altro di un certo sconfinamento». 

Il problema, in ogni caso, c’è ed è molto avvertito, non solo in Germania. Anche perché vescovi e sacerdoti hanno quotidianamenter a che fare con divorziati risposati che frequentano le parrocchie e magari siedono anche nei Consigli pastorali.

Qualche anno fa la rivista cattolica progressista francese Témoignage chrétien spiegò in un’inchiesta che «non solo molti cattolici, ma anche molti vescovi (almeno in privato) dicono di essere a disagio relativamente alla posizione della chiesa cattolica riguardante le coppie di divorziati risposati».
«Non c’è da stupirsi», era la chiosa della rivista. «Anche se soffocate e represse per un certo periodo, le vere questioni tornano a galla».

Una cosa appare ormai certa: il Sinodo convocato per l’ottobre 2014 dovrà dare una risposta precisa e chiarificatrice su questo tema.

 
 
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