Se fossimo onesti con noi stessi, diremmo ad alta voce ciò che ci teniamo stretto in cuore: che delusione, questo Obama! E lo tratteremmo in modo un po’ più simile al suo predecessore George Bush, più rude al tratto e tanto meno carismatico, ma alla fin fine non molto dissimile nei risultati.
Si dice di solito che di presidente in America ce ne sono due: quello che governa gli americani e quello che governa il resto del mondo. Sarebbe più giusto, quindi, giudicare solo l’Obama che si è battuto contro la crisi economica lasciatagli in graziosa eredità da Bush Junior? No, per niente. E per tante ragioni.
Il candidato mondialista
Nel 2008, quando fu eletto per la prima volta, Barack Obama era il candidato più “mondialista” che gli Usa avessero espresso da decenni. Molti (da Gianfranco Fini, che disse che non sarebbe stato eletto perché “nero” e fu per questo quasi linciato, al sottoscritto, che scrisse la stessa cosa sul suo modesto blog e ne ricavò insulti e sberleffi) non credevano che l’America bianca fosse pronta ad accettare un Presidente nero.
Ed infatti non lo era, i bianchi (anche quelli del Partito democratico) lo votarono pochissimo allora e pochissimo anche nel 2012. Obama, però, fu bravissimo a far votare tutti gli altri: gli elettori di origine afroamericana, i latinos, gli asiatici. In più, l’uomo che siede alla Casa Bianca, Obama come tutti gli altri, ha come priorità il benessere degli americani ma intende “governare anche il resto del mondo. E lo dice apertamente.
Quel Nobel per la Pace
Quindi anche noi non americani abbiamo tutto il diritto di dire la nostra su Obama. E di ribadire che di grande delusione si tratta. Pensiamo al Nobel per la Pace, assegnatogli in tutta fretta nel 2009 dopo soli otto mesi di permanenza alla Casa Bianca. E poi pensiamo a quanto è successo in Afghanistan (protezione “senza se e senza ma” al regime corrotto e inefficiente di Hamid Karzai; escalation militare; nessun successo nella lotta alla produzione e al traffico di droga; migliaia di morti tra i civili ogni anno), a quanto succede in Irak (più di mille morti tra i civili nel solo mese di maggio 2013), a ciò che è stato fatto della Siria, dove gli Usa per due anni non sono voluti intervenire, permettendo così allo scontro di diventare carneficina (almeno 93 mila morti, secondo l’Unhcr, tra i quali 6.500 bambini), ma dove Obama ora vuole mandare armi e munizioni.
Pensiamo al nulla fatto per riavvicinare al dialogo israeliani e palestinesi. Trovate che si tratti di un Nobel meritato?
Guantanamo e i droni
E Guantanamo? Lo chiuderemo, proclamava il candidato nel 2008. Non possiamo, ammette sconsolato il Presidente nel 2013. Intanto il super carcere resta là, sotto il sole di Cuba, con 122 detenuti che nessuno sa processare (perché per la giustizia Usa non sono prigionieri di guerra né delinquenti comuni), che hanno confessato tutto il confessabile e anche oltre, e che comunque costano 250 milioni di dollari l’anno solo in manutenzione del campo.
E i droni? Gli Usa se ne sono serviti per anni in piena libertà, anche sul territorio di Paesi amici come l’Afghanistan e il Pakistan, ritenendoli indispensabili nella caccia ai terroristi. Con innumerevoli vittime civili, però: ultimi i 15 bambini uccisi per sbaglio in Afghanistan due settimane fa. Nel suo recente discorso sulla sicurezza nazionale Obama, che aveva promesso di interromperne i voli, è ripiegato su un più comodo “li useremo solo quando vi sarà la quasi certezza che il bersaglio sono i terroristi”.
Il Presidente spione
Veniamo ai giorni nostri. Se l’attuale presidente Usa fosse George Bush, che cosa sentiremmo dire dopo aver scoperto che l’Agenzia delle entrate (il fisco, insomma) faceva controlli a tappeto sui suoi avversari politici? Peste e corna, ovvio. Però è proprio quanto è avvenuto sotto Obama, e al centro di quelle pratiche vagamente persecutorie c’erano i Tea party, ovvero i suoi più tenaci oppositori. E se non si trattasse di Obama, che cosa diremmo del fatto che la National Security Agency (l’ente preposto a garantire sicurezza nazionale degli Usa) spia regolarmente milioni di cittadini americani, legge la loro posta, intercetta le loro telefonate, controlla i loro spostamenti e i loro rapporti? E che altrettanto fa con decine e decine di milioni di cittadini italiani, tedeschi (obiettivo privilegiato, pare), francesi, australiani ecc. ecc.? E’ la lotta al terrorismo, dicono dalle parti della Casa Bianca. Sarà. Ma il Patriot Act, la legge pro-spioni fatta approvare da Bush nel 2001, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, è vecchia appunto di 12 anni. Siamo rimasti, quanto a terrorismo, allo stesso punto di allora? No, lo stesso Obama, di nuovo nel recente discorso sulla sicurezza nazionale, ha detto che sono stati fatti grandi progressi e che Al Qaeda non è più in grado di nuocere agli Usa e ai Paesi loro alleati. E dunque? Inoltre: perché il Paese più spiato dalla Nsa è la Germania e non, per esempio, l'Arabia Saudita, finanziatrice di quasi tutti gli estremismi islamici (per primi, ai tempi, i talebani) di cui si abbia notizia? Forse perché non di lotta al terrorismo si tratta, ma di un più prosaico e importante spionaggio politico ed economico?
Il problema è sempre quello. Essere abbastanza onesti da confessare che da Obama ci aspettavamo di più, molto di più. E che forse, dietro tutto quel carisma, si nasconde un grande bluff.