Ieri sera erano giunte da Parigi le notizie di un’aggressione in strada da parte di un giovane armato di coltello , che ha ucciso un uomo di 29 anni e ferito 8 passanti al grido di Allah akbar, prima di finire ucciso in uno scontro con gli agenti; stamattina il mondo si è svegliato con la notizia di tre esplosioni in tre chiese, una delle quali cattolica, a Surabaya, seconda città dell’Indonesia. Ci sarebbero una decina di morti: stando a una delle testimoni, il cui racconto agghiacciante è stato confermato dalla Polizia, a compiere uno degli attentati sarebbe stata una donna che si è fatta esplodere con i suoi due bambini. A Parigi gli inquirenti stanno approfondendo la storia del giovane attentatore – si tratta di un 21enne ceceno arrivato nel 1997 nella capitale francese con i genitori – anche per comprendere quanto nel gesto ci fosse di matrice ideologico-politico-religiosa e quanto invece di segni di squilibrio, anche se, come altre volte in questi casi, l’attentato del lupo solitario è stato immediatamente rivendicato dallo Stato islamico. A quando si apprende, il giovane sarebbe già stato noto alla Polizia francese, schedato come “pericoloso per la pubblica sicurezza”.
A Surabaya si indaga sulle connessioni tra gli episodi odierni e una rivolta repressa giorni fa in un carcere di. Si ritiene che la rivolta e gli attentati possano avere una matrice comune. Il fatto che le esplosioni siano avvenute in chiese cristiane riaccende un riflettore sulla situazione dei cristiani in Indonesia che si va complicando, come spiegava all’inizio dell’anno La civiltà cattolica, interrogandosi sul futuro della minoranza cristiana nel Paese: “L’Indonesia è stata a lungo considerata – scriveva in un abstract il periodico gesuita - il Paese-modello della tolleranza islamica. L’87% musulmano dei suoi 255 milioni di abitanti ne fa la nazione con il maggior numero di musulmani al mondo. Insieme a un 10% composto da cristiani, di cui quasi un terzo cattolici, a un 1,7% di induisti (nell’isola di Bali), e a un numero più ridotto di buddisti e di seguaci del confucianesimo, essi hanno convissuto in pace, sia pure con tensioni e conflitti. La libertà religiosa è sancita dalla Costituzione indonesiana, e il passaggio da una religione a un’altra di solito avviene senza problemi.Negli ultimi tempi, però, un’ondata di populismo islamico ha suscitato la preoccupazione di molti indonesiani, anche di fede musulmana. Il motivo di questa inattesa esplosione identitaria islamica è stato il cosiddetto “caso Ahok”. Basuki Tjahaja Purnama, detto Ahok, è un cristiano protestante di origine cinese, all’epoca governatore della capitale Giacarta. Una persona dunque che per due diversi motivi appartiene a una minoranza. Ahok si è rivelato il governatore più valido di Giacarta degli ultimi 40 anni, ma lo scorso settembre, a causa di una sua incauta osservazione, ha dato ai suoi nemici lo spunto per accusarlo di blasfemia, con la mobilitazione di centinaia di migliaia di musulmani. L’interrogativo che si pone è il seguente: la democrazia dell’Indonesia, basata sulla Pancasila, si affermerà, oppure i gruppi radicali otterranno un influsso sempre più grande che porterà a una situazione più simile a quella del Medio Oriente? E poi, l’islam indonesiano dominante, moderato, si affermerà davanti alla crescente pressione radicale ed estremista? Ora, la storia indonesiana recente e dell’islam indonesiano in particolare offrono elementi di speranza. Ma se l’Indonesia si islamizzasse maggiormente, quali sarebbero le implicazioni per i 25 milioni e più di cristiani che vivono nel Paese?”.