Chiusi in gabbiette o in più confortevoli
voliere, in Italia vivono
13 milioni di uccelli domestici,
un terzo del totale
europeo. In gran parte sono canarini ma
non mancano pappagalli e altri volatili
esotici. Ogni 100 italiani ci sono 22 uccelli
domestici, 13 gatti, 12 cani, tre pesci
d’acquario, tre piccoli mammiferi (conigli,
criceti, topolini), due rettili (di solito
tartarughe, talvolta serpenti).
Tirate
le somme, per convivenza con animali,
gli italiani sono al terzo posto nell’Unione
europea (55 ogni 100 abitanti), preceduti
da Belgio (73) e Paesi Bassi (70)
e seguiti da Ungheria, Francia, Slovenia.
Il Regno Unito è soltanto tredicesimo, la
Spagna occupa il sedicesimo posto, tra
gli ultimi l’Irlanda con 23 animali domestici
ogni 100 abitanti.
Forse dovremmo guardare a questo zoo domestico come a una riserva di salute.
Gli animali da compagnia – pet in
inglese – svolgono una funzione preventiva
diretta e indiretta sia verso malattie
fisiche sia verso disagi psichici. Ictus
e infarti sono meno frequenti tra i proprietari
di cani perché questi animali li
costringono a più passeggiate quotidiane.
Già 35 anni fa uno studio su 92 infartuati
pubblicato dalla rivista Public
health reports documentava una miglior
sopravvivenza tra i possessori di cani.
Ora la American heart association ne
raccomanda ai pazienti la compagnia.
Sul piano psicologico, basta il senso comune
per intuire come la vicinanza di
un cane o di un gatto possano contrastare
stati di lieve depressione.
Da osservazioni episodiche e superficiali, tutto ciò si sta trasformando in seria
ricerca scientifica. Se ne occupa in
Italia Enrico Alleva, accademico dei Lincei,
direttore del reparto di neuroscienze
comportamentali dell’Istituto Superiore
di Sanità. Un libro con contributi
di vari autori coordinato dalla sua collaboratrice
Francesca Cirulli – Animali terapeuti.
Manuale introduttivo al mondo
della Pet therapy – ha dato una prima sistemazione
a questa nuova disciplina.
Pioniere fu, negli anni Sessanta del
secolo scorso, lo psichiatra infantile Boris
Levinson. Sua è la definizione Pet therapy,
che però oggi si tende a sostituire
con la fredda sigla Iaa, da Interventi assistiti
con gli animali (d’altra parte la parola
italiana “zooterapia” suona inadeguata
se non fuorviante).
Levinson notò
che la presenza di un cane di nome Jingles
lo aiutava a entrare in contatto con
un bambino autistico che aveva in cura.
Qualche tempo dopo, una gatta adottata
gli servì da tramite per attenuare il senso
di inadeguatezza di David, un bambino
adottato che non riusciva a superare il
trauma dell’abbandono. Presto divenne
evidente che, oltre a mediare rapporti
difficili, gli animali d’affezione potevano
combattere l’ansia nelle persone che si
occupavano di loro, allontanare lo stress
e migliorare l’umore.
Oggi sappiamo da
molte ricerche che questo effetto calmante non è illusorio: dedicarsi a un
animale in una relazione affettiva stimola
la produzione di endorfine, dopamina,
prolattina e ossitocina, tutti neurotrasmettitori
che inducono sensazioni
di benessere, predisponendo a rapporti
sociali più empatici e rilassanti.
Le endorfine, in particolare, hanno un diretto
collegamento con il piacere e l’ossitocina,
liberata nei rapporti sessuali, viene
considerata come l’“ormone della fedeltà”
in quanto rinsalda i rapporti di coppia
e favorisce relazioni sociali amichevoli
(oltre a indurre il parto nelle donne
giunte al termine della gravidanza).
Mentre Levinson fu attento soprattutto
agli eff etti psicologici, Erika Friedmann
negli anni Settanta al Brooklyn
College di New York incominciò a studiare
gli eff etti fi sici della Pet therapy,
scoprendo che accarezzare un animale
fa scendere la pressione arteriosa.
James Serpell ha poi rilevato che l’adozione
di un animale comporta nei proprietari
una diminuzione del 50 per
cento delle malattie minori (mal di testa, astenia, inappetenza).
Di qui si è sviluppato
un fi lone di ricerca che ha portato
alla raccolta di importanti dati oggettivi:
in un lavoro pubblicato nel 2009 sulla
rivista Hormones and behavior il giapponese
Miho Nagasawa ha riportato come
i proprietari di cani con una forte interazione
aff ettiva con i loro animali –
per esempio frequenti contatti oculari:
guardarsi negli occhi ha un grande impatto
emotivo – sviluppavano notevoli
quantità di ossitocina.
Altri studi hanno dimostrato che i benefi
ci psicofi sici della Pet therapy sono
reciproci: anche l’animale domestico
manifesta un calo del cortisolo e un aumento
dell’ossitocina.
Per la sua antica domesticazione,
che si fa risalire a 18 mila anni fa, il cane
è l’animale privilegiato nella Pet therapy
con bambini e anziani. Con i primi,
si osserva un transfert grazie al quale i
piccoli proiettano sull’animale i propri
sentimenti (amicizia, ira, paura, dolore)
imparando a gestirli in modo più adeguato
e maturo. Agli anziani il prendersi cura del cane mantiene l’interesse alla
vita attiva nonostante il peso degli anni.
Cani “terapeuti” selezionati per docilità
e festosità del carattere a titolo sperimentale
vengono accompagnati regolarmente
in alcune case di riposo per
incontrarsi con anziani sotto la guida di
assistenti sociali, medici geriatri, etologi,
veterinari.
Il gatto è stato addomesticato in tempi
più recenti, circa 5000 anni fa in Egitto.
Per questo motivo, oltre che per le
sue caratteristiche etologiche e genetiche,
mantiene una maggiore autonomia.
Vive volentieri in famiglia ma senza
assumere l’atteggiamento subalterno
del cane (che dipende dall’essere animale
di branco). La “personalità” più spiccata
e indipendente del gatto favorisce i
rapporti “paritari” con l’uomo. Dal punto
di vista psicologico, quindi, il rapporto
con un gatto può trasformarsi in uno
specchio di sé e in un “dialogo” istruttivo
e appagante anche al di fuori di qualsiasi
patologia.
Il cavallo ha avuto successo nella cura
di deficit cognitivi e comportamentali:
terapia di bambini con sindrome di
Down e con disturbi dello spettro autistico,
paralisi cerebrale infantile, forme
di schizofrenia. Anche nella riabilitazione
e nell’educazione motoria l’ippoterapia è una risorsa medica riconosciuta.
Di norma il ciclo curativo prevede 40
sedute.
Si incomincia con la strigliatura
e altre forme di contatto con l’animale
per passare poi, ma non necessariamente,
a cavalcare. Per la sua pazienza e docilità
in alcuni casi – forme di demenza,
gravi inibizioni del comportamento – al
cavallo è preferibile l’asino. In Italia l’ippoterapia
è sperimentata fin dagli anni
Settanta: la introdusse e codifi cò la psicologa
francese Daniela Nicolas-Citterio.
A lei risale anche l’Associazione italiana
per la riabilitazione equestre.
Le scimmie cappuccine possono trasformarsi
in veri e propri assistenti –
quasi in infermieri – per disabili gravi.
Ellen Rogers racconta questa esperienza
vissuta con il figlio paralizzato da un
incidente stradale nel libro I miracoli
hanno la coda lunga (Salani, 286 pagine,
14,50 euro).
Come è facile immaginare, la Pet therapy
è una forma di “medicina dolce”
che può suscitare scetticismo negli organicisti
“duri e puri”. Mancano ancora
prove e studi definitivi.
Il rischio di scivolare nell’opinabile
o addirittura nella ciarlataneria è sempre
in agguato: Enrico Alleva mette in
guardia dal pericolo di una deriva poco
scientifica se non antiscientifica.
Proprio per evitare deviazioni già fin
troppo frequenti, in Italia è necessario
costruire una normativa a tutela dei pazienti
e degli operatori sanitari. Un decreto
del presidente del Consiglio il 28
febbraio 2003 ha riconosciuto la validità
terapeutica degli animali di compagnia
ma non è seguita una legislazione
che regolamenti la materia.
Questa situazione
ha fatto sì che nascessero quasi
duemila associazioni su base volontaristica
che praticano o dicono di praticare
la Pet therapy. Un passo avanti nel 2009
è stata l’istituzione del Centro di referenza
nazionale per gli interventi assistiti
con animali presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie. Il
Centro, con il ministero della Salute, ha
preparato linee guida nazionali che dovranno
essere valutate dalla Conferenza
Stato-Regioni prima di essere ufficialmente
applicate. Una situazione che,
pur con i suoi limiti, ci vede più avanti
degli altri Paesi europei.