Qui sopra: cartoneros argentini. In alto: il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, a Torino per il terzo Forum mondiale dlelo sviluppo economico locale. In copertina: un indio Yanonomami. Tutte le fotografie sono dell'agenzia Reuters.
Dai “cartoneros” (i raccoglitori di rifiuti delle metropoli argentine) agli indios Yanomami della foresta amazzonica, il Forum mondiale dello sviluppo economico locale, che si svolge in questi giorni a Torino, è l'occasione per dar voce agli inascoltati, a quelle periferie geografiche ed esistenziali tanto care a papa Francesco. Emergono esperienze cresciute dal basso e strappate con fatica allo strapotere dei grandi sistemi economici. Sono imprese possibili grazie alla tenacia di uomini e donne che hanno creduto nella centralità della persona. E in quell'equilibrio tra uomo e ambiente così ben descritto nella recente enciclica Laudato si”.
La storia dei cartoneros argentini è divenuta nota in tutto il mondo proprio grazie al Santo Padre, che li ha voluti accanto a sé fin dai primi giorni di pontificato: per loro, ultimi tra gli ultimi, Francesco ha riservato un posto di riguardo durante la sua Messa di insediamento del 19 marzo 2013 e successivamente ha proseguito il dialogo anche attraverso un videomessaggio. Da quel mondo fatto di strada, fatica e umiliazioni arriva Marcelo Loto, oggi (ma ci è voluto un lungo cammino) presidente della cooperativa “Reciclando Sueños”, attiva a Buenos Aires. «Con la crisi legata al neoliberalismo che ha colpito il mio Paese negli anni '90» racconta «improvvisamente mi sono trovato senza lavoro e cercare tra i rifiuti è diventato l'unico modo per sopravvivere. Sono stati anni difficilissimi: in base a una legge varata durante la dittatura, la nostra attività era considerata illecita. Venivano perseguiti come delinquenti. Ho vissuto l'assoluta precarietà e le risse tra poveri per una scatola di cartone, poiché da quella scatola poteva dipendere la sussistenza delle nostre famiglie».
Poi, gradualmente la svolta: «abbiamo capito che dovevamo uscire dall'individualismo e associarci. Solo così sarebbe stato possibile batterci perché il lavoro dei raccoglitori fosse considerato come tale». Quell'attività dura, a volte pericolosa, guardata con disprezzo da tanti benestanti «è in realtà il primo anello del processo di riciclaggio, così fondamentale per il futuro dell'ambiente. Per questo abbiamo iniziato a chiedere dignità e uno stipendio decente, commisurato al valore del nostro servizio». Oggi, in varie aree dell'Argentina, le cooperative dei cartoneros hanno cambiato la vita di migliaia di famiglie. Ma moltissimo resta da fare «anche perché le multinazionali che lucrano sulla raccolta dei rifiuti vedono in noi dei possibili concorrenti e cercano di ostacolarci». Paesi diversi, problemi simili.
In Messico i raccoglitori di rifiuti vengono chiamati “pepenadores”. Lavorano a mani nude nelle grandi discariche, a contatto con rifiuti altamente tossici. Hanno un'aspettativa di vita di appena 53 anni (contro i 73 della media nazionale) e non possono contare su alcun tipo di tutela. In tutto il Paese il piccolo comune di Huajuapan de Léon (circa 70.000 abitanti), nella regione dell'Oaxaca, è il solo ad aver avviato un progetto istituzionale a favore dei pepenadores, col sostegno dell'università e dell'amministrazione locale. Così Guadalupe Quijada Hernandez, giustamente orgogliosa dell'impegno come “recicladora”, ha visto gradualmente cambiare le sue condizioni di vita, insieme a una sessantina di colleghi. E oggi, diversamente dal passato, lavora in condizioni dignitose: «Abbiamo delle tettoie per proteggerci dalle intemperie, abbiamo cibo e servizi igienici. Ma soprattutto abbiamo dei sistemi per isolare i rifiuti più pericolosi e salvaguardare la nostra salute».
L'appuntamento di Torino è anche occasione per presentare la Carta dei diritti dei raccoglitori informali di rifiuti. Sono coinvolti circa 20 milioni di lavoratori in tutto il mondo, il 2% di chi abita le grandi metropoli. In pochi, sintetici, punti il documento (che i delegati intendono consegnare al segretario generale Onu Ban Ki-Moon) chiede riconoscimento, dignità ed equità. E' un risultato possibile grazie anche all'impegno della torinese Cooperativa Arcobaleno (legata al Gruppo Abele di don Luigi Ciotti) che da vent'anni propone un progetto di raccolta carta destinato a persone in difficoltà. Altra area geografica, altre storie in bilico.
Sempre nell'ambito del Forum ha riscosso interesse, tra le altre, anche l'esperienza difratel Carlo Zacquini, missionario della Consolata, che da oltre quarant'anni vive e lotta accanto ai popoli indios di Roraima, nell'estremo Nord del Brasile, dove convivono numerose etnie. Lo accompagnano Enock Barroso Tenente (del popolo Tuarepang) e Ivaldo Andrè (del popolo Macuxì). Quest'ultimo è vice-coordinatore del Consiglio Indigeno di Roraima, cui fanno capo circa 30.000 persone. «Nel corso degli anni» spiega «abbiamo avviato progetti di agricoltura sostenibile (che conciliano le nostre antiche tradizioni con alcune tecniche nuove), formazione sanitaria, inclusione scolastica, percorsi rivolti ai giovani. Cerchiamo costantemente di dare dignità al lavoro, superando tanti pregiudizi e luoghi comuni».
Un impegno prezioso, che però non basta, poiché sui popoli indigeni continuano a gravare tante minacce, soprattutto da parte di coloni e cercatori d'oro, interessati allo sfruttamento delle terre. «Tuttora si verificano frequenti episodi di violenza. E con gli ultimi governi, stiamo assistendo a una pericolosa regressione sul piano dei diritti, benché questi siano garantiti dalla Costituzione» spiega fratel Zacquini «Ma il pericolo non viene solo dalle armi. Gli Indios, soprattutto i gruppi più isolati, non hanno gli anticorpi per reagire alle malattie dei popoli occidentali, che su di loro producono effetti devastanti». L'ultima tragedia risale a pochi mesi fa e riguarda un villaggio di Yanomami nella foresta amazzonica, 17 famiglie (il numero esatto degli abitanti non è stato censito) che finora non avevamo mai avuto contatti col mondo esterno. «Dalle testimonianze di chi ha sorvolato la zona in aeroplano, pare che il villaggio sia attualmente spopolato, forse a seguito dell'arrivo di alcuni gruppi di cercatori d'oro. E' l'ennesimo capitolo di uno sterminio silenzioso, davanti al quale anche le autorità a difesa degli Indios sono impotenti». Quella di fratel Zacquini è, sotto vari punti di vista, una missione “estrema”, sia per la drammaticità della situazione sociale, sia per il confronto con culture, tradizioni e religioni radicalmente diverse dalle nostre. «Non c'è bisogno di raccontare Gesù con le parole. In queste terre la nostra testimonianza deve passare attraverso la coerenza di vita cristiana, nel profondo rispetto per la cultura del luogo e per le scelte degli abitanti, che devono poter essere liberi di trovare la loro strada. Se noi siamo cristiani autentici le persone se ne accorgono. E nel tempo vengono a cercarci».
Nella serata di giovedì 15 ottobre è arrivato a Torino il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, accolto dal presidente
del Senato, Pietro Grasso, e dal sindaco Piero Fassino. La cerimonia di chiusura è per venerdì 16 ottobre, in piazza Castello, dove oltre a
Ban Ki-moon e Grasso, sono attesi i ministri italiani degli Esteri e
dell’Ambiente, Paolo Gentiloni e Gian Luca Galletti. «Il Forum mondiale dello sviluppo economico locale costituisce un’assise molto
rappresentativa - ha affermato il sindaco di Torino-, ci sono più di 2000
partecipanti da 126 nazioni, sono esponenti di Governi, di
organizzazioni internazionali, di centri di ricerca, università,
sindaci, uno spaccato significativo di società civile».