Il cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti
Il Papa lo ha scelto per scrivere le
meditazioni della Via Crucis del
Venerdì Santo al Colosseo.
Il cardinale
Gualtiero Bassetti, arcivescovo
di Perugia, ne parla con
Famiglia Cristiana.
«Ho cercato di svolgere delle meditazioni
che potessero parlare concretamente
agli uomini e alle donne
di oggi. Non ho fatto un trattato teologico.
Ho voluto parlare all’anima
delle persone con semplicità. Soprattutto
perché a me sembra che il cuore
dell’uomo di oggi è un cuore indurito
da un cinismo individualista che troppo
spesso diventa indifferenza verso
gli altri, e da un materialismo consumista
che mira solo a riempire la pancia.
Ma l’uomo nonostante cerchi di
conquistare il mondo continua a non
essere felice. Gesù sulla croce si prende
i nostri peccati e indica un’altra strada
per la salvezza e la felicità. Quella della
conversione».
Quali sono i temi della “sua” Via
Crucis?
«La miseria umana e le sofferenze
del tempo presente: dal dramma dei
rifugiati a quello dei martiri cristiani
dei nostri giorni, dai nuovi schiavi del
lavoro ai bambini abusati».
Quali sono le stazioni che l’hanno
impegnata di più e perché?
«In ogni stazione c’è la mia esperienza personale di pastore e sono tutte
legate da un filo comune. Gli esempi
concreti a cui faccio riferimento nella
Via Crucis riflettono la vita vissuta:
quella che ho visto con i miei occhi e
quella che ho provato sulla mia pelle.
Le stazioni però che più mi hanno
impegnato sono la prima, la quarta e
l’undicesima. Nella prima c’è Pilato e
la folla che sceglie tra Gesù e Barabba:
è un esempio concreto del nostro difficile rapporto con il potere e la verità.
Nella quarta c’è l’incontro tra Gesù e la
madre. Tutti hanno bisogno di una
madre, anche Dio. Tema struggente
e attualissimo. E nell’undicesima c’è
la crocifissione. Ci sono le parole importantissime
dei due malfattori che
indicano due strade opposte: una che
volge verso il basso, verso la terra; e
una che volge lo sguardo verso il cielo.
Anche qui c’è il grande bivio nell’esistenza
di ogni persona umana».
La Via Crucis è una pratica religiosa
da riprendere e diffondere maggiormente?
«La Via Crucis è un rito di grande
importanza purché se ne colga la serietà
e la profondità. E non la si scambi
per una sceneggiata teatrale di dubbio
gusto. Il cristiano non ha bisogno di
scaldare il cuore con atti religiosi dal
forte impatto emotivo. Il cristiano ha
bisogno invece di memoriali che ricordino
e alimentino la fede».
Quella del Colosseo è molto evocativa
perché ricorda le persecuzioni
dei cristiani che oggi sono tornate di
attualità.
«Le persecuzioni dei cristiani, oggi,
non sono soltanto tornate di attualità
ma sono una delle più dolorose piaghe
della modernità. Il Colosseo, insieme
al Circo Massimo, è stato indubbiamente
uno dei luoghi di Roma che
ricordano maggiormente le persecuzioni
cristiane nell’antica Roma. C’è
però forse una scarsa consapevolezza
delle persecuzioni anticristiane degli
ultimi secoli. Basti pensare, però, che
fu la Rivoluzione francese a inventare
il termine “scristianizzazione” e Giovanni
Paolo II ha parlato del Novecento
come del secolo in cui sono tornati
i martiri. Oggi, quasi in ogni parte del
mondo, assistiamo con grande dolore
al manifestarsi di un odio accecante
contro i cristiani. Questi fratelli che
muoiono come testimoni della fede
di Cristo sono indubbiamente i nuovi
apostoli».
Potrebbe essere una delle pratiche
religiose da sviluppare anche dal
punto di vista ecumenico, visto che il
Papa da tempo insiste sull’ecumenismo
del sangue?
«Sì, la Via Crucis potrebbe anche
svolgere un ruolo nel dialogo
ecumenico. Nelle mie meditazioni,
nell’ultima stazione, ho fatto un riferimento
alla Chiesa orientale. Certamente,
però, l’ecumenismo del sangue
è un fatto, non un rito, a cui dobbiamo
guardare con discernimento, preghiera
e sapienza. E a cui bisogna rispondere
con altri fatti. L’incontro tra
Francesco e il metropolita Kirill è un
grandissimo evento storico. Abbiamo
bisogno di altri fatti come questo per
poter sviluppare un autentico e proficuo dialogo».