Il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma viene celebrato in un momento di turbolenza del processo di integrazione europea. Gli Stati membri sono ancora in preda alle conseguenze della crisi economica e finanziaria degli ultimi dieci anni, incapaci di raccogliere le sfide della globalizzazione (dell’economia e della finanza, ma anche delle migrazioni, di internet, del terrorismo, di una conflittualità disordinata) e sono percorsi dai venti dei populismi e da quelli del cosiddetto “sovranismo”.
Eppure questo anniversario dovrebbe essere l’occasione per riflettere sui numerosi risultati conseguiti in sei decenni, trattato dopo trattato, regolamento dopo regolamento, direttiva dopo direttiva: il mercato unico, l’euro, le politiche comuni, lo spazio di libertà e giustizia, i trasporti (treni, aerei, navi), ma anche la sicurezza alimentare (per il consumatore un piccolo esempio tra tanti possibili, dal gennaio 2016, bollini europei anticontraffazione certificano ulteriormente i nostri 52 formaggi Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta).
ra occorre rilanciare il processo di integrazione, affrontando il terreno dei più delicati obiettivi di natura politica e istituzionale. Il processo di integrazione è stato tradizionalmente paragonato a un percorso in bicicletta: se ci si ferma si cade. Tra le sfide più urgenti spicca la politica di difesa e di sicurezza. I conflitti che si affacciano sul Mediterraneo, un’Africa che esporta in Europa le tragedie del sottosviluppo (con il relativo effetto degli esodi di massa), il sempre turbolento Medio Oriente, la minaccia del terrorismo jihadista sono fattori che richiedono una risposta istituzionale forte. Il futuro dell’Unione europea, del grande progetto politico non sta nella gestione del mercato o della moneta, né tanto meno può essere affidato a nuovi muri.
Qualche anno fa il cancelliere tedesco Helmut Kohl, rispondeva così alla domanda di un politico italiano che gli chiedeva che cosa fosse l’Europa per i tedeschi: “Vede, il fratello di mia madre si chiamava Walter, e morì nella prima guerra mondiale. Mia madre chiamò Walter il primo figlio, che cadde sul fronte russo durante la seconda guerra mondiale. Mio figlio si chiama Walter ed è vivo. Questo significa per noi tedeschi l’Europa. Anzitutto, la pace”. Nel 1972 (l’anno della “Britain in”, che sembra lontano anni luce dalla Brexit), sir Andrew Shonfield, Direttore del Royal Institute of International Affairs, scriveva un volumetto dal titolo “Europa: viaggio verso una destinazione ignota”. Invocava l’importanza e la difficoltà di dotare di legittimità democratica “il mostro che stiamo creando”.
Ora più che mai l’Unione europea è in un “viaggio verso una destinazione ignota”, ma il progetto politico non può essere abbandonato.
Edoardo Greppi,
docente di diritto internazionale,
Facoltà di Giurisprudenza,
Università di Torino