Da Islamabad E' un calvario che conduce al martirio
quello di molte comunità cristiane
in Asia. Vissuto con fede,
con speranza e con la certezza della
resurrezione. L’imminente
viaggio di papa Francesco in Corea, previsto
in agosto, rappresenta, dice l’arcivescovo
di Seul, «una visita all’intera
Asia» e sarà un forte incoraggiamento
per i fedeli del continente.
Una cappa di odio e discriminazione
opprime i cristiani in Pakistan, che
si sentono insicuri e vulnerabili, soprattutto
dopo tanti falsi casi di “blasfemia”
registrati nei loro confronti. I recenti
verdetti di condanna alla pena
capitale (vedi box a pagina 33) decretano
la morte della giustizia e dello Stato
di diritto. Nessun colpevole, invece,
per i terribili attacchi contro quartieri
cristiani come la “Joseph colony”
di Lahore. Segnali di speranza
giungono dalla società civile: nel noto
caso di Asia Bibi, donna condannata
a morte per blasfemia, di cui è in
corso il processo di appello a Lahore,
avvocati musulmani affiancano i difensori
cristiani, mentre una mobilitazione
pubblica interreligiosa accompagna
la vicenda di Asia. Con lei,
chiedono giustizia le mille ragazze
cristiane e indù ogni anno rapite, convertite
e costrette a nozze islamiche,
nel silenzio generale.
Pakistan. Alcuni dei figli di Asia Bibi con al foto della mamma. La donna, cristiana, è stata condannata a morte con l'accusa di blasfemia: avrebbe parlato male del profeta Maometto. La sentenza, impugnata, non è stata fin qui eseguita.
Poco oltre confine, nell’India alle
prese con le elezioni generali, gruppi
fanatici indù, promotori di una ideologia
di “purezza religiosa” non danno
tregua alle comunità cristiane. Solo
nel 2013 si sono censiti oltre 4 mila casi
di violenza, incluso l’omicidio di
sette fedeli e attacchi a oltre cento
chiese.
Evidenti falle nel sistema giuridico
permettono la diffusione
dell’odio e l’impunità dei colpevoli:
assolti gli stupratori della suora cattolica
Meena Barwa, abusata durante i
massacri anticristiani in Orissa nel
2008, assolti due assassini del missionario
australiano Graham Staines,
bruciato vivo con due figli minorenni
nel 1999.
E che dire dei monaci buddisti
estremisti che seminano violenza e attaccano
preti e chiese nella vicina,
splendida isola di Sri Lanka, in nome
di una ideologia nazionalista? Qui i seguaci di Cristo sono definiti "traditori". E il paradiso turistico delle Maldive si caratterizza sempre più come paradiso dell’islam radicale, che impedisce perfino il possesso di una Bibbia.
Resta difficile, a volte, essere cristiani
in Cina, dove le pressioni e la volontà
di controllo del Governo sulle
chiese creano casi come quello di Taddeo
Ma Daqin, vescovo di Shanghai, costretto
da mesi agli arresti domiciliari.
Nei giorni scorsi migliaia di fedeli hanno
circondato la loro chiesa nella città
di Ou Bei, nella Cina sudorientale, per
impedire che le autorità comuniste la
demolissero: immagine pregnante della
situazione. Anche il Sudest asiatico racconta
le sofferenze dei cristiani: in Laos, nazione
con un Governo comunista, zelanti
funzionari civili scacciano dai villaggi
quanti si convertono alla fede cristiana.
In Malaysia, Paese dove convivono
etnie e religioni diverse, il Governo
– fomentato da gruppi estremisti
– ha avviato una curiosa battaglia
linguistica negando ai cristiani il diritto
di usare il termine “Allah” per
invocare Dio, come fanno normalmente
i fedeli di lingua araba in tutto
il mondo.
Note positive giungono invece
dall’Indonesia, il Paese musulmano più
popoloso al mondo (250 milioni di abitanti
in prevalenza islamici): la sconfitta
dei partiti fautori dell’islam politico
alle recenti elezioni generali alimenta
ottimismo e fiducia nelle minoranze
cristiane.