«Chiedo ai nostri fratelli cristiani di tutto il mondo che ci aiutino a tornare alle nostre case e città. Vogliamo stare lì, rimanere nel nostro Paese, salvi e in pace nella nostra terra». Aneesa prende la parola dopo il marito Mubarak per pronunciare con calma e senza lacrime questa breve frase, ieri pomeriggio, con la basilica vaticana alle sue spalle. Il suo sguardo trapassa l’anima e nei suoi occhi segnati dal dolore sembra esserci la sofferenza di un popolo perseguitato, costretto ad abbandonare la propria vita quotidiana a motivo dell’Isis. Dignità e umiltà caratterizzano il suo incedere accanto al suo compagno di una vita. Settantenni, sono sposati da oltre mezzo secolo e hanno dieci figli, di cui uno sacerdote, e dodici nipoti. Rifugiati in Kurdistan, tutti quanti. Scappati dalla follia della guerra. Perseguitati perché credenti in Cristo. «Lo scorso anno la nostra città di Qarakosh, che si trova 40 chilometri a nord di Mosul, era abitata da 50 mila persone; dal 6 agosto, giorno della Trasfigurazione, non c’è più nessuno. I terroristi dell’Is hanno distrutto le nostre case. E finora non sappiamo nulla delle nostre case, delle nostre cose», ha aggiunto Mubarak. Che ci tiene a lanciare un messaggio a tutti i cristiani: «Tutto quello che è successo nella nostra città e in quelle vicine è successo davanti agli occhi di tutto il mondo. Vogliamo che il mondo si muova per salvarci da questi terroristi. Vogliamo che i nostri fratelli cristiani di Occidente sappiano che solo la fede è quella che ci salva, alla fine». Imperturbabile, accanto a lui pure sua figlia Salua, ribadisce: «Chiedo al Santo Padre di continuare, come fa sempre, ad aiutare tutti i cristiani. Lui, nostro pastore, porta anche tutte le nostre preghiere a Dio, la nostra voce a tutto il mondo. Grazie a lui e a tutti quelli che ci aiutano».
Lo ha ripetuto anche questa mattina davanti a Papa Francesco: «Grazie, Santo Padre, per questa accoglienza che fate per gli anziani e per i cristiani dell’Iraq. Le campane di tutte le chiese di Ninive nel giorno della Trasfigurazione hanno smesso di suonare. Le croci sono state coperte da un manto nero. Vite distrutte dal terrore del grido di guerre continue. A nome di tutti noi la salutiamo con il suono delle campane di Qarakosh». Il Pontificio Consiglio per la famiglia propone di usare su Twitter l’hashtag #alqoshbells, per diffondere nei social network i tweet che giungeranno dai cristiani iracheni.