Dal 1 al 3 dicembre si sono svolte a Trento tre giornate di Festival della famiglia (giunto alla quinta edizione), quest’anno dedicate a “Denatalità, giovani e famiglie: le politiche di transizione all’età adulta”. Un evento denso di contenuti, con molte presenze istituzionali e associative a livello locale e nazionale, ma soprattutto con il racconto di tante storie di giovani, che hanno testimoniato una irriducibile capacità di realizzare i propri sogni.
La novità del Festival di Trento sta proprio qui, quest’anno: nell’idea di far parlare prima di tutto i giovani, a partire dal progetto STRIKE!, bando che in poche settimane ha raccolto storie di giovani che si sono costruiti un futuro, e che, attraversando fatiche, difficoltà e fallimenti, hanno inventato una professione, un progetto di vita, un sito, un mestiere… L’ascolto di queste storie è stato una vera e propria sfida per le generazioni adulte, posta alle istituzioni e alle famiglie con la domanda: “come possono, gli adulti, far fiorire i nostri giovani?” Anche perché queste storie dimostrano che “c’è vita sul pianeta”, e che i giovani non sono il problema, ma sono proprio la soluzione. Un deciso rovesciamento di prospettiva, rispetto a tante rappresentazioni sociologiche di una generazione in dissolvenza, novità ben descritta da una richiesta, espressa dai giovani stessi: “fateci stare scomodi!”. Altro che bamboccioni o choosy (schizzinosi!). Perché è dalle situazioni di difficoltà, dalle situazioni critiche, che i giovani si sono messi in movimento, e hanno agito per realizzare i propri sogni.
Un altro segnale forte in questa prospettiva è stata la presenza di oltre 300 giovani in servizio civile (tema ricordato anche dal Sottosegretario al welfare Luigi Bobba), attivi in un contesto territoriale che su questa modalità di impegno solidaristico ha investito con grande determinazione Quest’anno sono stati oltre 500 i giovani – ragazzi e ragazze, anzi, più ragazze che ragazzi – che hanno dedicato un anno della propria vita a servizio degli altri, nel volontariato socio-assistenziale, ambientale, nei servizi per ragazzi, eccetera.
Di fronte alla “meglio gioventù” le istituzioni e le famiglie hanno un compito difficile, ma non impossibile: quello di pensarsi a servizio dei progetti di vita, scegliendo di non sostituirsi alle persone, ma di porre le condizioni per farle rifiorire e crescere. Da questo punto di vista il territorio trentino ha confermato la validità del suo modello (come ha riconosciuto anche il Ministro con delega alle politiche familiari Enrico Costa), che si è organizzata attraverso alcune scelte strategiche: in primo luogo la continuità nel tempo: da oltre dieci anni la famiglia è priorità, nelle scelte di sviluppo socio-economico e delle comunità locali. In secondo luogo un approccio promozionale e sussidiario: non solo servizi e sostegni (pur necessari), ma soprattutto azioni che mobilitano la libertà delle famiglie e delle loro forme associate, per superare un assistenzialismo statalista che uccide la creatività delle persone.
In terzo luogo l’idea che “per educare un fanciullo serve un intero villaggio”, applicata alla famiglia. Il “Distretto famiglia” è la formula che indica che le politiche familiari riguardano tutti i settori di intervento e tutti gli attori presenti in una comunità locale, dai politici agli imprenditori, dal volontariato agli operatori turistici e culturali, in una logica di sviluppo di comunità. Nessuno può chiamarsi fuori. Per questo sono stati importanti gli interventi di Silvia Peraro, del Forum trentino delle associazioni familiari, di Gianluigi De Palo, del Forum nazionale, e dei coniugi Giuseppe e Raffaella Butturini, in rappresentanza dell’Associazione Famiglie Numerose. Questi soggetti, tutti ispirati dalla famiglia, tutti operanti nella logica del terzo settore, di gratuità, solidarietà e responsabilità di bene comune, ben descrivono il valore aggiunta della famiglia nella costruzione del capitale sociale di un territorio.
Molto c’è ancora da fare, ma le storie personali e le esperienze amministrative ed associative ascoltate nel Festival hanno confermato che la prima e più efficace risposta alle difficoltà è la responsabilità diffusa: ognuno può e deve agire nel proprio ambito, piccolo o grande che sia, per rigenerare i progetti di futuro, la speranza e la fiducia, propria e delle persone che gli stanno vicino. Solo così la crisi della natalità, al centro del Festival, potrà essere affrontata, per trasformarla nella sfida della generatività. Le culle vuote del Paese non sono soprattutto un problema di equilibrio demografico, ma sono soprattutto il grave ed inequivocabile indicatore di un Paese che proprio sulla capacità di rigenerare fiducia e speranza si gioca le proprie chance di futuro: non solo per le nuove generazioni, ma per tutto un popolo.