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giovedì 16 gennaio 2025
 
 

Dalla Russia con clamore, lo spionaggio "gridato" e pasticcione ai tempi di Putin

20/04/2021  Ecco cosa c'è veramente dietro il caso di Walter Biot e dei due goffi agenti segreti venuti da Mosca. La vera storia degli 007 al di là del muro, dalla Ceka alle fake news (di Fulvio Scaglione)

Walter Biot.
Walter Biot.

(Nella foto di copertina: Alexey Nemudrov)

Ormai preda di uno stordente mix di pregiudizio ideologico, giuste preoccupazioni, mera ignoranza e fake news dell’una come dell’altra parte, l’Occidente fa una fatica atroce a capire che cosa sia davvero la Russia e che cosa succeda davvero a Mosca e dintorni. E non si parla, qui, dell’opinione pubblica, ma del vasto sistema che, dai film di Hollywood ai giornali più pretenziosi, avrebbe il piacere e il dovere di informarla. Non poteva quindi fare eccezione il tema, tenebroso per definizione, dei servizi segreti e delle spie. Così Aleksey Nemudrov e Dmitrij Ostroukhov, i due ufficiali russi che si sono fatti beccare a intrigare con Walter Biot, sono stati fatti passare di volta in volta per astutissime canaglie o pasticcioni senza pari, con una interessante variante: che sarebbero stati in gamba ma poi le piacevolezze di Roma piaciona li avrebbero rammolliti. D’altra parte i due cognomi parlano: Nemudrov, in russo, ha più o meno il significato di “poco saggio” e Ostroukhov “dall’udito fine”. Deve aver funzionato solo il primo. Tutto perfettamente in linea, comunque, con l’andazzo di questi anni. Perché gli hacker russi (che sarebbero quelli del servizio segreto militare, il Gru) eleggono i Presidenti degli Stati Uniti, spingono la Brexit, tramutano la Catalogna in un covo di secessionisti, mentre i loro colleghi dell’Fsb (intelligence e controspionaggio interno) non riescono a far fuori vecchie spie e più giovani dissidenti. Per non parlare di quella Maria Butina che fu arrestata come spia negli Usa (quindi qui saremmo nel regno dell’Svr, il servizio per lo spionaggio all’estero), incarcerata, condannata e poi rispedita in Russia: non una grande impresa, visto che la stessa raccontava a chiunque incontrasse di essere, appunto, una spia russa.

Può quindi servire un minimo di inquadramento storico. Dotare la nascente Unione Sovietica di un servizio segreto fu una delle prime preoccupazioni di Lenin. La Rivoluzione era d’Ottobre, il decreto che istituiva la Ceka (notare la squisita discrezione: la sigla è l’acronimo di Commissione Straordinaria) fu emanato il successivo 20 dicembre. Da allora, e per tutto il periodo sovietico, la Ceka (che nel 1922 divenne Gpu, nel 1934 Nkvd, nel 1946 Mgb e nel 1954 Kgb) e i suoi uomini, dal capo all’ultimo degli agenti, furono sempre al servizio del Partito comunista e dei suoi dirigenti. L’unico che provò a coltivare ambizioni più vaste fu quell’assassino di Lavrentyj Berya, subito dopo la morte di Stalin nel 1953. Ma Nikita Khruscev, che se ne intendeva, lo fece prontamente fucilare.

Il palazzo della Lubjanka, ex sede del Kgb.
Il palazzo della Lubjanka, ex sede del Kgb.

La mescolanza dei ruoli, agenti che diventano politici e viceversa, è figlia dell’agonia dell’Urss. Nel 1982 Jurij Andropov, che dirigeva il Kgb dal 1976, divenne segretario generale del Pcus, cioè capo supremo dell’Unione Sovietica. Non fece un golpe né mandò al muro i rivali. Molto semplicemente, morto Leonid Brezhnev, nessuno sapeva bene che fare e scelsero lui che era un duro, un incorruttibile e che per di più, per il “lavoro” che faceva, conosceva bene la realtà disastrosa del Paese. Quello fu un momento decisivo nella storia della Russia contemporanea. Per diverse ragioni.

La prima. Andropov era già malato all’epoca dell’ultima ascesa. Per questo, e per il desiderio di assicurare una continuità alla propria visione politica, si diede da fare per scegliersi un “erede” al quale spianare la strada verso il vertice. Quell’erede fu Mikhail Gorbaciov, che oltre al resto era anche compaesano di Andropov, visto che entrambi venivano da Stavropol’. Non a caso, i germi fondamentali dell’architettura della perestrojka, (cambiare, innovare, modernizzare, senza rinunciare all’Urss) si trovano già nel periodo andropoviano. Solo che in tanti anni di Kgb Andropov aveva perso l’abitudine alla delicatezza: nel suo breve mandato, un anno e mezzo, cacciò dai ranghi 18 ministri e 37 alti funzionari del partito.

Nikita Krusciov con Josiph Stalin.
Nikita Krusciov con Josiph Stalin.

Seconda ragione: la cooptazione di un “allievo modello” è il meccanismo che ha portato al potere anche Vladimir Putin, che diventò primo ministro nell’agosto del 1999 e Presidente nel maggio del 2000. La differenza è che con Putin, che pure è arrivato al vertice senza colpi di Stato o violenze, è più difficile individuare il patrono. Certo non Boris Eltsin, che all’epoca era bollito. Forse proprio quei servizi segreti che, alla fine dell’era eltsiniana come i loro padri alla fine dell’Urss, sapevano bene quanto fosse precaria la situazione. Magari d’accordo con quei “democratici” che vedevano un Partito comunista ancora forte e paventavano un ritorno al passato. È facile immaginare che da lassù, o laggiù, il duro Andropov guardi con soddisfazione alla lunga carriera di quel Putin che, ai suoi tempi, era un oscuro ufficiale in un’oscura città della Germania Est.

La più importante, però, è la terza ragione. Una volta che le vicende della Storia hanno concesso agli uomini dei servizi segreti di fare politica, è diventato difficilissimo tornare indietro. Se qualcuno li immagina sullo stampo dei “ruski” dei film americani, è meglio che cambi idea. L’unico ad aver fatto una carriera tutta interna è Igor Kostjukov, il direttore del Gru, che peraltro è un ammiraglio uscito dalle più prestigiose accademie militari russe, dotato di un master in Diplomazia. Sergey Narishkin, direttore del servizio di spionaggio estero, è un economista che è stato, prima, vice-rettore del Politecnico di San Pietroburgo e diplomatico nell’ambasciata russa a Bruxelles. Aleksandr Bortnikov, direttore dell’Fsb, è invece un ingegnere ferroviario. Nikolay Patrushev, attuale segretario del Consiglio di sicurezza e capo dell’Fsb prima di Bortnikov, è un ingegnere navale. Per restare tra le spie amiche di Putin: Igor Sechin, che lavorò a lungo in Africa come agente del Gru, è un filologo specializzato in portoghese e francese. Tutti, in un modo o nell’altro, hanno impegni anche nel settore dell’economia. Bortnikov, per esempio, siede nel consiglio d’amministrazione della compagnia statale di navigazione marittima Sovkomflot.

Lavrentij Berya.
Lavrentij Berya.

Certo, sono tutti amici di Putin, anche se non si capisce se è lui che dipende da loro o viceversa. Però è tutta gente che in qualunque Paese potrebbe puntare in alto, aspirare a essere classe dirigente. E quando ce la fa si vede: Sechin è amministratore delegato di Rosneft, che produce 4 milioni di barili di petrolio al giorno, è la più grande società petrolifera quotata in Borsa, fa affari in mezzo mondo (Italia compresa) e ha come presidente l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Funziona bene come quando il capo era Mikhail Khodorkovskij, poi cacciato a pedate quando si fece venire la pessima idea di mettersi in società con gli americani.

Quindi. Prendi gente molto in gamba e piuttosto grintosa (eufemismo), la piazzi nei servizi segreti o la trovi già lì e poi gli dici: facciamo noi politica, perché questi altri (di volta in volta Brezhnev, Gorbaciov, Eltsin…) non ce la fanno. E già che ci siamo, occupiamoci anche dell’economia, perché le cose vanno come vanno, gas e petrolio sono fondamentali per la sicurezza nazionale ecc. ecc. Ci si può aspettare, poi, che questi personaggi facciano marcia indietro?

Michail Gorbaciov e Vladimir Putin.
Michail Gorbaciov e Vladimir Putin.

Non sembra, ma tutto questo c’entra con il nostro Biot, gli ufficiali russi che gli passano la mazzetta e tutto ciò che abbiamo visto succedere negli ultimi anni. Davvero sono l’unico a trovare un po’ incredibile che gli stessi servizi segreti, quelli russi, abbiano sul campo hacker infallibili e killer da film comico? Spie inafferrabili e spioni pasticcioni? Dopo l’avvelenamento di Navalny, Vladimir Putin disse: “Se l’avessimo voluto morto, sarebbe morto”. Cinico, ma a ragione. In Russia, come in ogni altro Paese e chiunque sia stato il mandante, chi “doveva” morire è morto. La Politkovskaja nel 2006, Natalya Estemirova (giornalista, membro di Memorial, attivista per i diritti civili) nel 2009, Boris Nemzov nel 2015, per fare solo qualche esempio. Qualche colpo di pistola e via. Nessun bisogno di gas nervino col marchio “made in Russia” stampigliato sopra o di altre strane cose per eliminare i personaggi scomodi. E nessun bisogno, se pensiamo agli hacker onnipotenti, di trovarsi in un garage per passare quattro soldi a un ufficiale che ti porta i documenti.

La spiegazione di questi paradossi, secondo me, sta proprio nel fatto che gli uomini dei servizi segreti si sono messi in politica. E la politica, per definizione, è il luogo in cui si litiga e ci si divide, in cui le opinioni e gli interessi si scontrano, in cui le carriere si fanno e si disfano. Se accettiamo l’idea che la Russia putiniana non sia il monolite che sembra ma un campo di scontro di fazioni e “partiti” diversi, quelli che su un fronte sono clamorosi fallimenti su un altro fronte potrebbero invece essere operazioni perfettamente riuscite. Per dire: poco più di un anno fa, Putin ha cambiato tutto il Governo. Gli uomini dell’autarchia e dell’austerità sono stati sostituiti da tecnocrati che avevano il compito di varare una politica di investimenti pubblici (i cosiddetti Piani nazionali), rilanciare l’economia e redistribuire la ricchezza. Di passaggio, magari anche ricucire i rapporti con l’Occidente, come da tempo vanno chiedendo imprenditori ed esportatori.  Il Covid ha complicato tutto ma reso anche più urgenti certe decisioni.

Nikolay Patrushev.
Nikolay Patrushev.

Che cosa fai, allora, se sei del “partito” che, al contrario, guarda a Est, ha interessi nell’industria nazionale o nell’import-export con la Cina e l’Asia, o che semplicemente vuole ostacolare l’ascesa di Caio o Sempronio o provocarne la caduta? Magari fai scoprire un intrigo di secondo piano a Roma. Non ci credete? Pensate allora che un paio di mesi fa, a Mosca, hanno scoperto che gli uomini del servizio speciale del ministero degli Interni che organizza, coordina e scorta i movimenti dei 40 politici russi più importanti, da Putin in giù, e dei dignitari stranieri, chiacchieravano in libertà su una chat di What’s App (azienda Usa che opera su server Usa) aperta a 400 persone. Vi par possibile, per un servizio segreto di quella levatura?

Non è affatto detto che l’eternità politica di Putin e del suo “sistema” piaccia a tutti, dalle parti del Cremlino. E tanto meno che sia gratis, che non richieda un lavoro incessante di calibratura degli spazi, dei poteri, delle ambizioni degli uomini che, con la loro fedeltà, hanno consentito al suo sistema di potere di reggere per così tanto tempo. E che di tanto in tanto mandano segnali a chi di dovere. Pensateci, è il male minore. Altrimenti dobbiamo rassegnarci ad affrontare un’organizzazione di spie che riescono nello stesso tempo a essere astutissime (vedi hacker) e stupidissime (vedi Roma). Con un nemico così non si può vincere.

Fulvio Scaglione, già vicedirettore Di Famiglia Cristiana e corrispondente da Mosca per il settimanale, offrirà la sua testimonianza al Festival della Comunicazione il prossimo 10 maggio alle ore 19. Per collegarsi: Fb.me/festivaldella comunicazione; youtube.com/user/comsocmolfetta;youtube.com/user/FrontieraTv

 

             

    

    

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