“Dopo la disfatta? Tutti torneranno a casa loro e dopo un po’, dove c’erano trincee e filo spinato, torneranno i prati“. Così Ermanno Olmi spiega il titolo del suo ultimo film sulla Grande guerra, che sta ultimando, in occasione del centenario del conflitto mondiale.
Il regista di Asiago, ad 83 anni quasi compiuti, ha appena finito di girare sul “suo” Altopiano le scene di “Torneranno i prati”. Il film, che uscirà in autunno, racconta una notte in trincea su quelle montagne che hanno visto cadere 50 mila soldati di 23 nazionalità diverse in soli due anni. Una notte di plenilunio in prima linea, sull’Altopiano, nell’autunno del 1917, preludio della disfatta che di lì a pochi giorni sarebbe accaduta sul fronte orientale, nella val d’Isonzo, a Caporetto.
Ermanno Olmi sul set del film (foto Simone Falso)
“Un racconto onirico”, lo ha definito il vecchio maestro, che descrive un fatto bellico veramente accaduto, ma trasfigurato dalla cinepresa, la quale si strasforma in lucida coscienza rivelatrice di quanto sia stata insensata la Grande Guerra, così come tutte le guerre. “Ho voluto fare un film utile, prima che bello. In tutte le celebrazioni c’è il pericolo dello sventolio delle bandiere”, afferma il regista: “Il modo migliore per ricordare il conflitto è quello di capirne a fondo i motivi. A troppe celebrazioni di guerre sono seguite altre guerre”.
Perché è scoppiata la Grande Guerra? E’ la domanda obbligatoria che si pone e ci pone Olmi, proprio perché “viviamo tempi che assomigliano molto a quelli, e che potrebbero preludere a conflitti ben più catastrofici. Non vorrei essere pessimista, ma temo che se non si cambia qualcosa, possa ancora accadere il fatto più stupido che l’umanità possa compiere”.
Sul set del film girato sull'Altopiano di Asiago (foto Simone Falso)
Il film, in effetti, è un grido contro la guerra, una celebrazione più che dell’eroismo militare, della disubbidienza all’assurdità degli ordini. Un atto di obiezione civile su pellicola. E’ la triste epopea di militi ignoti (nel film i personaggi sono senza nome), raccontata andando a rileggere, più che i grandi scrittori, le testimonianze di chi è stato in prima linea e poi, magari è caduto senza sapere neanche il perché, combattendo contro un nemico che stava a pochi metri, sulla trincea opposta, eguale a lui in tutto, ad inziare dalla stessa condizione di povertà, tranne che per il colore della divisa. “Ho letto e riletto e i romanzi sul conflitto scritti da Lussu, Gadda e il ‘mio’ Rigoni Stern. Grandi testi, ma che avevano già, come dire, metabolizzato la storia, rendendola poesia”, spiega il cineasta. “Invece io cercavo le testimonianze vive, i libri di anonimi cronisti. E lì, in quelle pagine struggenti, ho trovato la verità”. Quella che non viene mai narrata dalle versioni ufficiali. “Nemmeno dalle commissioni bilaterali degli storici”, aggiunge il regista del “Mestiere delle armi”.
“Sono accaduti tra il 1914 e il ’15, fatti vergognosi nel nostro Paese, per i quali dovremmo tutti abbassare il capo. Il balletto sulla scelta dell’elleato con cui schierarsi, ad esempio. Ma, d’altra parte, si sa quanto fossero distratti i Savoia nei confronti della storia”.
Il regist sul set con gli attori (foto Simone Falso)
Così Olmi torna alla grande lezione sulla guerra che il papà bersagliere ardito che combattè sul Carso, la battaglia dell’Isonzo e sul Piave, impartì a lui e ai fratelli, quand’erano ragazzi: “Ci diceva ‘Capirete anche voi cosa significhi anche un solo boccone di cibo avanzato, se viene una guerra’. Ma noi non capivamo. Oggi è nostro dovere capire, anche per chi non ne ha voglia”. E qui la lezione di storia del regista diventa monito civile per l’oggi: “Le grandi guerre nascono sempre dalle nostre piccole omissioni quotidiane. Da una sonnolenza della coscienza che ci fa dimenticare che i nostri padri combatterono per conquistare la democrazia”. E poi lancia l’anatema: “Chi sono i peggiori, oggi? Quelli che che per agnosticismo si permettono di non votare, di non partecipare della vita democratica del paese, in attesa magari di un mandato da Dio che risolva tutto. Il vero fallimento dei nostri tempi non è quello economico, ma quello morale”. “Torneranno i prati” è il racconto di una notte di trincea col terrore del nemico che sta a pochi metri di distanza. Ma in realtà il vero nemico, ci ha spiegato il grande maestro, non porta la divisa austriaca, ma è qualcosa che è la’ in mezzo a quei soldati. Due di loro, un ufficiale e un anonimo soldatino, avranno il coraggio di disubbidire agli ordini e poi accadrà qualcosa di inaspettato. Che il regista, giustamente, tiene per sé. Ciò che ci ha già detto è sufficiente: “la guerra è un virus ben conosciuto. Eppure, se ciascuno di noi non elimina la proprie meschinità”, potrebbero farsi avanti altre notti buie come quella sull’Altopiano.