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Damiano Tommasi e la Bibbia: «Sono cresciuto in montagna: la natura ti interroga sul senso della vita»

24/05/2017  Per il calciatore Damiano Tommasi, attuale presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, «lo sport è una passione che va oltre il momento agonistico»: il nostro incontro al Festival Biblico, la sua missione, la sua fede

Per il calciatore Damiano Tommasi, attuale presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, «lo sport è una passione che va oltre il momento agonistico», come titola l’intervento che lo ha visto protagonista al Liceo Quadri (via Carducci 17 – Vicenza), moderato dal giornalista Luca Ancetti, mercoledì 24 maggio alle 11, nell’ambito degli eventi del Festival Biblico. Lo abbiamo intervistato.

Lei ha ricevuto il premio nazionale “Altropallone” per il suo impegno nel sociale e il premio “Tor Vergata – Etica nello sport”. E’ evidente che lealtà e correttezza sono per lei al primo posto.

«Il mio attuale ruolo da dirigente è quello di cercare di rappresentare una categoria che vive sotto i riflettori in maniera anche distorta. Emergono più i personaggi che le persone. Dobbiamo riportare lo sguardo sullo spessore umano, l’ottica dev’essere quella della vita sportiva come esempio, cosa che invece spesso viene sottovalutata. Lavoro, sacrificio, allenamento, disciplina, superamento delle sconfitte, rispetto delle regole e degli altri atleti, che siano compagni o meno, sono insiti dell’essere uno sportivo. Il calcio è molto seguito dai ragazzi, dalle famiglie, perciò si deve porre grande attenzione ai messaggi che si diffondono». 

Quanto male fanno gli scandali allo sport?

«E’ il solito tema dell’albero che cade che fa più rumore della foresta che cresce. Lo scandalo è parte della nostra società, non solo del mondo dello sport. Gli scandali purtroppo ci sono a tutti i livelli, ma a tutti i livelli ci sono anche molte persone che lavorano nella giusta direzione».

Dei giovani spesso si parla male. Dal vostro osservatorio che cosa emerge?

«Noi rappresentiamo il calcio professionistico, abbiamo a che fare con grandi campioni, la cui età media non supera i 35 anni. Sono giovani con grandi responsabilità, con l’obbligo di crescere in fretta, e non è facile. Lo dico anche dal punto di vista personale, dato che sono parte della classe dirigente giovane (Tommasi ha ricevuto il testimone nel 2011 da Sergio Campana, per 43 anni alla guida dell’Aic). Non dimentichiamo mai di distinguere tra personaggio e persona. Crescere in questo ambiente è un buon banco di prova. Ci sono molti ragazzi in gamba che arrivano a giocare a calcio ad altissimi livelli. Senza determinati valori non ci si riesce. E poi ci sono le tifoserie, che raggruppano appassionati, che nel calcio trovano un motivo di crescita personale. Trovo piuttosto che si tende ad avere poca fiducia nelle capacità dei giovani, invece dobbiamo alimentare il loro entusiasmo di essere protagonisti. Loro hanno quello che altri magari non possono avere, un futuro».

Con lei al Festival sarebbe dovuta esserci Francesca Fenocchio, campionessa paralimpica di handbike. Che cosa pensa degli atleti paralimpici?

«Alle Paralimpiadi del 2016, gli italiani hanno vinto tutte le medaglie possibili. C’è di che essere orgogliosi. Sono risultati importanti, di cui non devono essere soddisfatti solo loro, ma questo messaggio positivo deve arrivare a tutti gli atleti, dev’essere chiaro che lo sport può fare anche questo. E’ un tema che non viene adeguatamente esaltato, evidenziato. Ho avuto molte occasioni di incontro con atleti paralimpici, sono ragazzi che grazie allo sport riescono a superano quelle che quando li guardiamo in gara ci appaiono solo come difficoltà momentanee, differenze, non disabilità. Loro non vivono queste differenze come limitazioni. La vita li ha messi alla prova. Ma in questa “sfida nella sfida” loro dimenticano la disabilità. E tutto il mondo dello sport li deve sostenere e appoggiare». 

Siamo al festival Biblico, perciò la domanda è d’obbligo. Qual è il suo rapporto con la Bibbia?

«Sicuramente sono una persona che ha molti dubbi e poche certezze e questo presuppone la ricerca, che è l’anima del testo biblico e dell’esperienza religiosa. Il fatto di essere consapevoli di essere in ricerca, costringe alle domande. Sono nato e cresciuto in un paesino di montagna (Sant’Anna d’Alfaedo, in provincia di Verona, ndr), in un ambiente a misura d’uomo. E a quei luoghi, alla famiglia, agli amici di infanzia resto legato. In un contesto di montagna il rapporto con la natura è forte, e quotidianamente ti mette di fronte alle domande sul ruolo dell’uomo. La nostra comunità era un grembo che ti accoglieva, ti proteggeva, ti insegnava i valori veri, dove si viveva il vangelo, se ne diffondeva il messaggio, si ascoltava la Sacra Scrittura, un libro che ha ancora molto da dire alla nostra società, e che provoca, stimola interrogativi”. 

E con la fede?

«Il mio rapporto con la fede ha a che vedere con la mia consapevolezza che non siamo soli».

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