Il giorno del perdono è un ricordo vivido, lucido, dirompente: Messa dell’Assunzione a Friburgo, in Svizzera. Il sacerdote, padre Joël Allaz, frate Cappuccino, con la sua straordinaria omelia fa commuovere tutti. Lui, Daniel, ha appena 12 anni. «Quel prete che faceva piangere i fedeli era l’uomo che da tre anni mi violentava. Io, quel giorno, decisi di perdonarlo di tutto il male che mi aveva fatto».
Dopo tanti anni di silenzio, lo svizzero Daniel Pittet, oggi 57 anni, ha avuto la forza di raccontare in un libro l’orrore vissuto da bambino, dai 9 ai 13 anni: gli abusi sessuali subìti da parte di un prete. La perdono, padre (edito da Piemme) è un resoconto durissimo, crudo, che non usa mezzi termini, chiama i fatti e le cose con i loro nomi e spiega chiaramente la psicologia perversa del pedofilo e ciò che accade nella mente della giovanissima vittima. Allo stesso tempo, è una testimonianza grandiosa di un uomo che non ha mai messo in dubbio la sua fede in Dio e la sua fiducia nella Chiesa, pur essendo stato violato proprio da chi, all’interno della Chiesa, avrebbe dovuto proteggere e custodire un bambino fragile, già segnato da un vissuto familiare tormentato.
Si tratta di un libro ancora più straordinario perché papa Francesco, una volta lette le pagine di Pittet, ha compiuto un gesto senza precedenti: ha deciso di scrivere lui stesso la prefazione, assumendo una posizione chiara e inequivocabile di condanna dei tanti casi di pedofilia all’interno della Chiesa e dei vescovi che li hanno coperti. Oltre alla prefazione del Pontefice, il libro contiene anche un altro importante documento: un’intervista a padre Joël Allaz di luglio 2016, in cui il prete si mette a nudo sui tantissimi abusi commessi durante la sua vita sacerdotale.
RICOSTRUIRE UNA VITA
«Ciò che ti distrugge è il primo atto di abuso. Uno è già troppo. Poi ne seguono tanti altri. Ma è il primo che ti segna dentro per sempre», osserva Daniel. «Quel giorno del 1971 io ho fatto la mia scelta di perdono. Nel corso della mia vita non mi sono mai pentito, non sono mai tornato sui miei passi. Sono riuscito ad andare avanti sviluppando la resilienza, la capacità di resistere e sopportare», osserva. «E poi è stato fondamentale per me il periodo trascorso nell’abbazia benedettina di Einsiedeln, nella Svizzera tedesca, dove ero arrivato un’estate per lavorare come portiere» e dove, prima di uscirne, era arrivato a professare i voti.
Oggi Daniel ha una moglie, Valérie, e sei figli, dai 12 ai 20 anni (fra cui una bambina affetta da sindrome di Down adottata nel 2002), e vive nella sua città, Friburgo. «Quando ho conosciuto Valérie, lei studiava teologia e voleva diventare suora carmelitana. Poi però ha rinunciato alla vita monastica e abbiamo deciso di intraprendere un percorso insieme. Io le ho confidato di essere stato violentato per quattro anni da un frate». Valérie è una donna dal carattere forte, non lo ha mai giudicato. «Ma ha voluto essere sicura che io non fossi a mia volta attratto dai ragazzini, che non avessi sviluppato tendenze pedofile. Io andai in cura psichiatrica e il medico mi assicurò che io non ero assolutamente pedofilo. Così, ci siamo sposati, io ero già grande, avevo 35 anni». Dei suoi figli Daniel racconta: «Una volta mio figlio più piccolo Simon, che ha 12 anni, ha trovato nella spazzatura le bozze del mio libro. Le ha lette, ne è rimasto profondamente colpito e mi ha scritto una lettera per dirmi che mi avrebbe sostenuto in questa avventura editoriale e per tutto il resto della vita. È stato molto commovente per me». Oggi, Daniel è un uomo riflessivo, aperto all’ascolto, instancabile nell’aiuto del prossimo.
UNA MALE CHE VA RICONOSCIUTO
Il problema della pedofilia è enormemente diffuso e una gran parte dei pedofili sono stati a loro volta violentati da bambini. «Tantissime vittime di vari Paesi mi scrivono e mi confessano le loro sofferenze. Ne ho incontrate molte. E so che questo libro potrà essere molto utile per tanti e avrà un impatto molto forte su chi vive questo problema». Daniel ha lavorato a lungo come bibliotecario, ma oggi, racconta, «ho dovuto smettere di lavorare perché la mia salute è molto fragile».
A novembre del 2016 Daniel ha incontrato faccia a faccia Joël Allaz nel convento in cui vive. Daniel ha stretto la mano al suo carnefice, ridotto al fantasma di se stesso, un omino anziano, piccolo, stanco, piegato. Si dice che non ci può essere perdono e riconciliazione senza la giustizia, senza la riparazione del male commesso. Eppure, per Daniel, il perdono era arrivato ancora prima di ottenere giustizia. Per lui, a 12 anni, è stato un atto gratuito, spontaneo, incondizionato. Scrive nel libro: «Il perdono non ha niente a che vedere con la giustizia degli uomini, che condanna, né con la scusante che annulla il problema. I fatti restano». Le ferite non si rimarginano. Ma la riconciliazione spezza le catene che ti tengono legato a chi ti ha ferito. «Il titolo del libro, La perdono, padre, è da prendersi alla lettera. Non provo né rispetto né compassione per il mio aguzzino. L’ho perdonato. Oggi sono libero».
IL PAPA: QUESTI SONO ORRENDI PECCATI
«Come può un prete al servizio della Chiesa arrivare a causare tanto male? Come può aver consacrato la sua vita per condurre i bambini a Dio, e finire invece per divorarli in quello che ho chiamato “un sacrificio diabolico”, che distrugge sia la vittima sia la vita della Chiesa?». Queste sono le domande che si pone papa Francesco nella prefazione al libro di Pittet. «Alcune vittime», prosegue il Papa, «sono arrivate fino al suicidio. Questi morti pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa. Umilmente, chiedo perdono». La condanna di Francesco è senza appello: questi atti, scrive il Papa, sono «una mostruosità assoluta, di un orrendo peccato, radicalmente contrario a tutto ciò che Cristo ci insegna». E conclude: «Ringrazio Daniel perché le testimonianze come la sua abbattono il muro di silenzio che soffocava gli scandali e le sofferenze, fanno luce su una terribile zona d’ombra nella vita della Chiesa».