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Daniele Mencarelli: alla ricerca di un senso della vita

01/12/2022  «Per anni il tema è stato messo al bando ma oggi i ragazzi s’interrogano su tutto», dice lo scrittore e poeta che si definisce un “aspirante credente”. «La spiritualità? Ci appartiene da sempre»

Se qualcuno ci domandasse di cosa oggi il mondo ha davvero bisogno, probabilmente risponderemmo la pace. O la salute. Oppure, in uno slancio di pragmatismo, bollette meno care. Il poeta e scrittore Daniele Mencarelli ha invece scomodato una parola quasi dimenticata: salvezza. Tutto chiede salvezza è infatti il ​​titolo del libro che gli è valso il Premio Strega Giovani nel 2020, nonché il nome dell'omonima serie tv, lanciata a ottobre su Netflix e diventata subito virale. Al centro, c'è la sua stessa vita: una storia, dolorosamente profonda, che affronta il delicato tema della salute mentale ma anche, e soprattutto, del senso religioso. «Ho tentato di rendere lecita una domanda – che senso ha la vita? – che per anni era stata messa al bando», rivendica con orgoglio Mencarelli.

Perché era una domanda “illecita”?

«È un discorso complesso che probabilmente inizia con quel “Dio è morto” pronunciato dopo Auschwitz. A sua volta il progresso ha reso apparentemente meno necessaria la ricerca spirituale. Per fortuna oggi i giovani sono riusciti a squarciare quella cappa che non permetteva di vivere liberamente le domande di senso: la fase post-ideologica, per dirla alla Pasolini, è tramontata e adesso i ragazzi si interrogano su tutto, compresi i temi del tempo, della libertà e della morte. Sono affamati di risposte, come è emerso anche dai riscontri positivi ottenuti dal mio libro e dalla serie tv. Penso sia una grande conquista».

Eppure lei non è credente.

«No, non lo sono. Mi piace definirmi un aspirante credente perché, come scrivo ne La casa degli sguardi “appartengo a una razza infelice: vedo e sento Dio nella bellezza delle cose ma non sento il calore nel cuore”. Quando, in occasione delle presentazioni dei miei libri, incontro i ragazzi, non propongo quindi loro una visione di Dio, perché non ce l'ho, però dico sempre: “Stare comodi nel nulla è molto difficile: non siamo fatti per essere niente” . Io stesso, ai miei figli, non me la sento di dire che dopo la morte verranno ingoiati nel Nulla».

Qualcuno replicherebbe che le manca semplicemente il coraggio di guardare in faccia alla realtà...

«Tanto per cominciare, io non ho paura del Niente: ne ho letteralmente il terrore! Non ho problemi ad ammetterlo. Detto questo, sono convinto che nell'uomo sia radicato il presentimento che questa vita è utile per qualcosa che verrà poi. Mi rifaccio anche a Nietzsche: se l'uomo fosse fatto solo del qui e ora, verrebbe meno tutta una serie di patti sociali, a cominciare dalla stessa congiunta comunitaria. Se tutto finisce qui, allora spiegatemi la civiltà».

La spiritualità è pertanto una dimensione irrinunciabile dell'uomo?

«Sì e il motivo è semplice: fa parte di noi. Ci appartiene fin dalla nascita: la misura del trascendente è connaturata al nostro essere. Ognuno di noi sa infatti di avere un orizzonte finito e vive immerso in sentimenti, simboli e presentimenti che rimandano continuamente oltre un orizzonte tangibile. Questo vale soprattutto per l'amore. Chiunque voglia bene a qualcuno non può non porsi il tema della perdita di ciò che ama. È una domanda così urgente, e profonda, che non può essere ignorata».

Per questo non si è mai definito agnostico?

«Non riesco ad affrontare staticamente alcuni temi e mi fa sorridere chi riesce invece a dare una visione, fossilizzata, del mondo. Personalmente mi sento come Leopardi che oscilla tra lo sperare e il disperare: era un poeta che scriveva La ginestra ma anche l'Infinito. Ecco, io questo suo pendolarismo emotivo lo sento molto vicino, perché passo da grandi momenti di comunione con l'Universo ad altri di lontananza e sconforto. Pertanto credo molto nella vita come costante atto dinamico. Vale per l'amore (Pasolini diceva che non conta amato aver una volta nella vita, ma amare) così come per la ricerca spirituale».

In quest'ottica che ruolo ha la fratellanza?

«Tutto quello che ho scritto dal 1997 a oggi sono storie i cui protagonisti si trovano nell'altro un'occasione di salvezza tangibile. Il nemico non è mai fuori di noi: è dentro. Le grandi battaglie sono interiori e l'altro, quasi sempre, si rivela un grande alleato. Quando non lo è, non diventa comunque mai quel nemico terribile che la nostra cultura ci porta a immaginare. Prenda due ragazzi che amano la stessa donna: sono in competizione e in conflitto ma non perché si odiano. Semplicemente desidero la stessa cosa. Funziona così anche la gran parte delle relazioni sociali».

Quindi non esistono persone cattive ma solo disperate?

«Su questo ho una posizione molto agostiniana. Per come la vedo io, la cattiveria è semplicemente assenza di bene: uno spazio vuoto che viene riempito in maniera pericolosa».

Lei ha un passato di sofferenza e dipendenze. Quando è riuscito a voltare pagina?

«Lo scarto è quotidiano. Per esempio, chi smette di bere non si definisce mai ex alcolista ma alcolista a riposo. Nel mio caso, mi considero un “ex” di tante cose ma il lavoro resta quotidiano, perché c'è sempre in me quel meccanismo per cui si finisce con l'essere gestito da un sentimento o da un'abitudine. Tutti noi però abbiamo una parte che ci dice che la realtà è malvagia e che gli altri sono brutti e cattivi. Non a caso oggi il tema delle dipendenze è declinato in mille modi: sono circondato da uomini e donne che noti da consumare, magari non stupefacenti, ma la cui fruizione ha dinamiche simili a quelle delle dipendenze. Un esempio su tutti, i social».

In questo generale risveglio spirituale, intravede anche dei rischi?

«Confondere la sensibilità umana per patologia, la ricerca spirituale per nevrosi. Un uomo che pensa alla morte sta riflettendo sulla propria natura: non è malato. La differenza tra nevrosi e sanità sta quasi mai nel come si pensa alla propria fine. Personalmente ho trovato il mio linguaggio di elezione nella poesia: è importante coltivare quelle espressioni artistiche che raccontano l'uomo nella sua completezza».

Mi tolga una curiosità: anche se non è cattolico, c'è un passaggio della fede cattolica che l'affascina particolarmente?

«Tutto. Basterebbe applicare le parole di Cristo per rivoluzionare il mondo».

Il Libro e La Serie

TUTTO CHIEDE SALVEZZA

Un libro, una serie tv e, soprattutto, un'esperienza vera. È quanto ruota attorno a Tutto chiede salvezza, il testo di Daniele Mencarelli che racconta la settimana dell'autore rinchiuso per un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso). Mencarelli, infatti, nel 1994 fu sottoposto a un Tso dopo un eccesso di rabbia. Il libro, pubblicato da Mondadori nel 2020 e vincitore del Premio Strega Giovani 2020, è stato finalista allo Strega. La serie, prodotta da Picomedia per Netflix e diretta da Francesco Bruni, da ottobre su Netflix, ripercorre in sette episodi i sette giorni di internamento.

CHI É

ETÀ 48 anni

PROFESSIONE Scrittore e poeta

POESIA La croce è una via, poesie sulla passione di Cristo (Edizioni della Meridiana, 2010) NARRATIVA Tutto chiede salvezza (Mondadori, 2020)

SPIRITUALITÀ Ha scritto anche una Via Crucis, intitolata La croce e la via ( SanPaolo, 2021)

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