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mercoledì 30 aprile 2025
 
 

Daniele Rustioni: un prodigio con la bacchetta

15/06/2011  La mamma lo ha introdotto alla musica ed ora è uno dei più giovani e promettenti direttori d'orchestra italiani. Vive a Londra ma sogna di mettere su famiglia nel nostro Paese.

Nato a Milano nel 1983, si è diplomato a pieni voti al Conservatorio della città in organo e composizione organistica, pianoforte e direzione d’orchestra, poi si è perfezionato in varie accademie musicali e ha seguito master class con bacchette prestigiose, quali Colin Davis, Kurt Masur, Gianandrea Noseda. Nel 2006, a soli 24 anni, fa il suo ingresso sulla scena internazionale dirigendo “Cavalleria rusticana” di Mascagni a San Pietroburgo. Nel 2008 il suo debutto operistico in Italia con “La bohème” di Puccini.

Diventa assistente di Antonio Pappano, un altro “numero uno” del podio, alla Royal Opera House (Covent Garden) di Londra. Poi di nuovo in Italia a dirigere ancora “La bohème” e titoli del repertorio belcantistico nazionale: “Norma” di Bellini, “Il barbiere di Siviglia” di Rossini, “L’elisir d’amore” di Donizetti. Nel 2010 è al Teatro alla Scala di Milano con “L’occasione fa il ladro” di Rossini. La sala del Piermarini lo attende nel 2012 con “La bohème”, opera che gli porta bene. Quest’anno ha già allungato il suo invidiabile curriculum con “Aida” al Covent Garden e “Così fan tutte” di Mozart a Cardiff.

Esule per passione della musica. Curioso destino per il più promettente giovane direttore d’orchestra italiano, peraltro comune a tanti altri coetanei con i numeri giusti, ma poco considerati in patria. Il ventottenne Rustioni non ne ha fatto tuttavia un dramma, come quelli delle opere che dirige nei teatri lirici di mezzo mondo. Anzi. L’essere emigrato a Londra per trovare lavoro e indipendenza economica gli ha dato l’opportunità di essere apprezzato anche nel Belpaese: «Arrivare dall’estero», dice con un pizzico di ironia, «accresce le probabilità di dirigere in Italia. E poi girare qua e là permette di condividere modi diversi di fare musica e di ampliare il proprio repertorio. Certo, il mio obiettivo primario è diventare direttore musicale stabile, anche per mettere su famiglia».

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Dirigere è per lui una droga: «Soffro a stare fermo tra una produzione e l’altra». Un secchione, come quando studiava a Milano: 15 anni al Conservatorio dove, oltre agli strumenti e alle materie per i quali si è diplomato, ha provato di tutto, dal violoncello al corno, dalla tromba al coro.

Già, il coro. «E’ stata mia mamma, che canta tuttora in quello dell’Orchestra Sinfonica La Verdi, a farmi fare le prime esperienze musicali di gruppo con la formazione di voci bianche Scala-Conservatorio. Una soddisfazione, perché fui uno dei tre genietti nel “Flauto magico” di Mozart, diretto da Riccardo Muti al Piermarini nel 1995». 
Nella sua formazione didattica, pure un paio d’anni di frequenza al corso di economia delle istituzioni internazionali e pubbliche amministrazioni della Bocconi: «Non mi ci vedevo nei panni del manager, come mio padre, però mi è servito per tenere i piedi per terra». Del resto, anche il papà non era proprio solo grafici e bilanci. 
Originario dell’Argentina, aveva suonato la chitarra in un gruppo di musica leggera di Buenos Aires e a casa ascoltava l’opera lirica, oltre ad animare duetti col figlio, al pianoforte, per suonare le canzoni dei Beatles. Buon sangue non mente.

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