Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
mercoledì 30 aprile 2025
 
IL RICORDO
 

«Ecco cosa avrebbe detto Carlo Casini davanti al piccolo Enea»

21/04/2023  «Si sarebbe chiesto se siamo degni di vederci affidati una vita umana» dice Francesco Ognibene, giornalista di Avvenire, curatore dell’ultimo libro dedicato al fondatore del Movimento per la vita. Sul numero di Famiglia Cristiana in edicola un servizio sul neonato lasciato nella culla per la vita della clinica Mangiagalli con le voci di don Antonio Ruccia e della scrittrice Maria Grazia Calandrone

Chissà cosa avrebbe detto, come avrebbe reagito, cosa avrebbe fatto Carlo Casini davanti al caso recente del piccolo Enea lasciato nella culla per la vita del Mangiagalli a Pasqua. «Avrebbe visto dentro a quel biglietto struggente della mamma la donna che è, non come si chiama, ma una persona capace di un amore senza fine che fa accogliere la vita e gliela fa rispettare al punto di portarlo in grembo e partorirlo per poi affidarlo» risponde Francesco Ognibene, giornalista di Avvenire che ha curato l’ultimo libro a lui dedicato edito Cantagalli, Di un amore infinito possiamo fidarci. «Si sarebbe chiesto che responsabilità abbiamo davanti alle mamme che fanno così fatica a portare avanti una gravidanza tanto da affidarci il loro bambino o che talvolta rinunciano del tutto. Si sarebbe chiesto se siamo degni di vederci affidati una vita umana. E poi avrebbe pensato a creare altri segni di una possibile accoglienza».

Ed ecco perché, secondo Ognibene, non nascono più bambini o ne nascono sempre meno «perché la nostra è una società a corto di speranza che si guarda attorno e non vede le condizioni per accogliere la vita. Questa è stata sempre la battaglia di Casini: rendere la società accogliente che è la cifra anche dei Centri di aiuto alla vita dove in primis devi sentirti accolto. Indimenticabile per me la cifra dei volontari stessi dei centri. Una signora che una volta in tutta la sua profonda semplicità mi disse che lei un’ora a settimana piegava i calzini di questi bimbetti. in quel gesto tutta la sua immensa cura».

 

La copertina del libro curato da Francesco Ognibene
La copertina del libro curato da Francesco Ognibene

Carlo Casini stesso, racconta Ognibene «quando ha fondato il Movimento per la vita non aveva come scopo esclusivo promuovere la vita o contrastare l’aborto ma anzitutto mettersi davanti alla ferita di una donna e chiedersi come fosse possibile non trovare nessuno che le desse una mano. Lo si conosce come militante, quasi ideologo; in realtà era un uomo mosso da fede e sensibilità che si commuoveva per le necessità delle persone, anche di quelle che lui stesso da magistrato mandava in carcere». L’assenza di ideologia si ritrova nella data di nascita del Movimento per la vita «È il 22 maggio 1975 quando Carlo Casini a Firenze fonda il primo Centro di aiuto alla vita (Cav), tre anni prima della 194. Con un obiettivo: dare una risposta non ideologica, ma umana, un aiuto concreto a chi soffre; alla base il diritto a una vita condivisibile che non può dividere cattolici e laici, lui era un magistrato di una qualità intellettuale superiore».

Un visionario e questo emerge nelle 128 testimonianze raccolte: «di amici d’infanzia, colleghi, persone vicine travolte e illuminate dal suo spirito. Le persone che gli si avvicinavano capivano che vedeva cose che loro non vedevano qualcosa di più grande di lui e di loro e restavano affascinate dalla sua naturale gentilezza, cortesia d’altri tempi; un uomo discreto e sereno, mai sovrastante sempre interessato al prossimo. Una persona che manca e che ogni giorno ti chiedi “lui cosa farebbe”. La risposta è una: cercherebbe un modo per unire, una strada nuova, si inventerebbe qualcosa che ancora non esiste».

In nome di “un amore infinito di cui possiamo fidarci”. Com’è stato scelto il titolo del libro? «L’ha scelto la figlia Marina. Era una frase di Carlo ed è il suo epitaffio sulla tomba. In quella frase tutto il suo profondo senso religioso, il suo sguardo sulla vita quasi da contemplativo, da mistico sebbene fosse inserito nelle dinamiche di tutti i giorni. L’amore infinito era il motore del suo impegno familiare, a sociale e professionale. Ha sempre cercato una strada davanti a ogni possibile ostacolo senza mai incaponirsi sulle parole d’ordine. L’amore infinito era nella spinta di quel vento impetuoso della Spirito che lo portava a cercare strade nuove e non l’ha mai abbandonato nemmeno nella fase della malattia benché avesse perso la parola. Un amore infinito che anima oggi chi resta, immersi tutti in un progetto più grande».

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo